Stasi dell”economia e credit crunch fanno rimbalzare gli indici di rischiosità commerciale delle aziende. Allo scorso dicembre, l”88% delle imprese dell”edilizia risultava a rischio d”insolvenza medio-alto, seguito dall”84% del commercio all”ingrosso e dall”82% del trasporto; l”industria manifatturiera si ferma “solo” al 63%, in coda l”agricoltura con un profilo di rischio molto basso, appena il 13 per cento.
«Una situazione preoccupante – commenta Marco Preti, ad di Cribis D&B – anche per il colpo di acceleratore di fine 2011. La difficoltà di finanziamento delle imprese dal sistema bancario si scaricano inevitabilmente anche sul sistema dei pagamenti. Non credo che il 2012 risulterà migliore dell”anno prima e quindi le aziende debbono rimanere caute sulla scelta dei propri clienti».
I dati “spacchettati” dell”Osservatorio sulla rischiosità di Cribis D&B, società Crif specializzata nella business information, indicano che, a fine dicembre, circa l”11% delle imprese italiane ha registrato un”alta propensione a generare insoluti commerciali rispetto ai fornitori nei 12 mesi successivi. Un dato in crescita rispetto alle rilevazioni dei trimestri precedenti: a fine 2010 le imprese più rischiose rappresentavano, infatti, il 9,96% del totale. Per il resto, oltre il 45% del totale delle imprese ha un livello di rischiosità medio, per il 38% è medio-basso mentre appena il 5,8% si è collocato nella classe di rischiosità bassa.
Ma come viene determinato il rischio di insoluto commerciale? Per il calcolo Cribis D&B utilizza numerose variabili aziendali, tra cui gli indici di bilancio, le esperienze di pagamento, la forma giuridica, le informazioni negative e vari altri. Alla fine escono quattro livelli di rischiosità: bassa, medio-bassa, media e alta. E questi esprimono sinteticamente il grado di affidabilità delle imprese e la capacità di fronteggiare gli impegni assunti con i fornitori nell”anno successivo.
Quanto pesa il rispetto dei tempi di pagamenti delle forniture sul rischio insolvenza? «È rilevante – conferma Preti – anche se non può essere l”unico riferimento. Peraltro a livello di sistema si è passati velocemente dai 60 giorni medi ai 90, intesi per di più come limite per lo sconto commerciale. Si tratta comunque di termini lunghi, lontani dalla tradizione, per esempio, delle imprese tedesche».
Tornando ai dati, dall”analisi comparata degli ultimi anni emerge una netta tendenza al peggioramento della rischiosità. Rispetto alla rilevazione del marzo 2008, la rischiosità è balzata dall”8,8% del totale al 10,9% di fine 2011, uno dei livelli più alti degli ultimi quattro anni. E anche la quota di imprese con una rischiosità media è balzata di oltre 10 punti percentuali al 45,6% del totale.
Ma come spiegare l”alta rischiosità dell”edilizia e del commercio? «Le imprese edili – sostiene Preti – risentono della crisi del residenziale e delle opere pubbliche. E lo stesso vale per il commercio: il calo dei consumi impatta sulla distribuzione all”ingrosso e al dettaglio. Salvo poi scorrere sull”intera filiera, fino ad interessare trasporti e logistica». Quanto agli aspetti dimensionali, Cribis D&B sottolinea che piccole e microimprese sono le più vulnerabili ed esprimono alti livelli di rischio, l”11,5 per cento. Un po” meglio le medie aziende. Le grandi imprese, invece, presentano una rischiosità quasi dimezzata, intorno al 6 per cento. Se il sistema bancario ha tirato il freno, diventa allora vitale un buon capitale di funzionamento, che rappresenta la capacità dell”impresa di autofinanziare gli investimenti e la crescita.
E una buona gestione del circolante diventa addirittura più importante della crescita del fatturato se si vuole accedere al credito bancario.
«In questo contesto – osserva l”ad di Cribis D&B – prevale un”estrema volatilità. Tanto che molte imprese si sono ritrovate insolvenze inattese, causate da clienti storici che in molti casi si erano sempre dimostrati buoni pagatori». Infatti secondo l”Osservatorio, nel 2011 circa il 74% delle imprese ha registrato un insoluto significativo, di cui oltre il 43% derivante da clienti con un rapporto superiore ai tre anni.
Emanuele Scarci
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