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Estratti significativi della relazione, alla Camera dei Deputati, del Ministro Paola Severino sullo stato della Giustizia in Italia

10 febbraio 2012

Secondo quanto afferma il ministro Paola Severino “Giudici e avvocati devono accettare un altro modello di servizio giudiziario, più snello, più rapido, meno costoso e meno intasato” !

On. Deputati, per la prima volta sono chiamata ad illustrare in quest’Aula – ove risiede la massima espressione della sovranità popolare – l’andamento dell’amministrazione della Giustizia nel corso del 2011, nonché gli interventi che il Governo ha già adottato o si prefigge di adottare durante l’anno in corso. Sarebbe inutile nascondere l’emozione di un esordio che ben posso dire inatteso sino a poco tempo addietro; emozione che diventa più intensa non soltanto per la solennità di questo luogo ma anche per la piena consapevolezza che il Governo di cui faccio parte – comunque lo si voglia definire (tecnico, di salvezza nazionale, di emergenza, ecc.) – trae la sua unica fonte di legittimazione dalla larga fiducia che il Parlamento ha inteso riconoscergli, offrendo una prova di coesione nazionale di cui tutti gli italiani possono andare orgogliosi. Questa circostanza vale, di per sé, ad alimentare il senso di responsabilità per le scelte che il Governo sarà chiamato ad operare in materia di giustizia, in armonia con la maggioranza parlamentare che lo sostiene e con tutta la condivisione possibile, nel comune intento di servire il Paese in tempi così difficili.

Al termine del mio intervento depositerò una completa documentazione sullo stato della giustizia, anche su supporto informatico, in modo da garantire il massimo della trasparenza e dell’accessibilità dei dati, mentre concentrerò l’esposizione sui punti di maggiore criticità del sistema giudiziario italiano e sui possibili rimedi che intendiamo proporre all’esame del Parlamento, alcuni dei quali avevano già trovato una iniziale attivazione nella precedente legislatura.

Si tratta di emergenze ben note che riguardano:

a)     l’attuale stato delle carceri e le problematiche condizioni dei 66.897 detenuti che, salvo poche virtuose eccezioni, soffrono modalità di custodia francamente inaccettabili per un Paese come l’Italia;

b)    il deficit di efficienza degli uffici giudiziari rispetto ad una domanda di giustizia che, in termini quantitativi, appare nettamente sovradimensionata nel confronto con le altre democrazie occidentali (il rapporto CEPEJ 2010 ci dice che, nel civile, con 4.768 contenziosi ogni 100.000 abitanti, l’Italia è al quarto posto in Europa per tasso di litigiosità, dietro Russia, Belgio e Lituania su 38 paesi censiti). Anche su questo ci si dovrebbe forse interrogare maggiormente: questo elevato tasso di litigiosità da cosa deriva? Da una propensione socio-culturale italiana alla conflittualità? Da una scarsa fiducia nella possibilità di affrontare a monte la controversia e di trovare soluzioni ragionevoli nel dialogo tra cittadini? Da una eccessiva complessità del tessuto normativo, tale da generare essa stessa un proliferare di contrasti interpretativi, la cui soluzione va devoluta al giudice? Ognuna di queste domande richiederebbe una approfondita analisi, perché la risposta ad esse potrebbe segnare un cambiamento di politica legislativa, volto ad incidere sulle cause di una domanda di giustizia così diffusa;

c)     la problematica individuazione degli strumenti attraverso i quali, soprattutto nel settore civile, sia possibile procedere alla rapida eliminazione dell’arretrato accumulatosi negli ultimi trent’anni, senza stravolgere i nostri principi fondamentali, senza deludere le aspettative di quanti hanno già da tempo intrapreso il cammino processuale e senza limitare eccessivamente l’accesso del cittadino al sistema giudiziario per nuove istanze;

d)    l’indifferibile razionalizzazione organizzativa e tecnologica dell’intera struttura amministrativa dei servizi giudiziari, in modo da utilizzare al meglio le risorse umane e finanziarie disponibili, realizzando risparmi di spesa che siano il frutto di interventi strutturali e non di semplici tagli alle dotazioni di bilancio. Vedete, in questi primissimi mesi di Governo mi sono resa conto di come i risparmi più razionali si potrebbero realizzare anche sulle spese “minori”, sol che si modificasse l’erronea attitudine mentale a pensare che il denaro e le risorse pubbliche siano “di nessuno”, convertendola nella corretta concezione che il denaro pubblico è “di noi tutti”, perché proviene dalle nostre tasse, dalla nostra fatica quotidiana, dal nostro lavoro, dal nostro impegno per contribuire alla crescita del Paese. Allora vedremmo come dalla somma dei piccoli-grandi sprechi e dalla loro eliminazione si potrebbe ottenere un ammontare molto più rilevante di quanto si pensi, ma soprattutto un cambiamento culturale, idoneo a garantire risparmi di spesa strutturali e non episodici.

Queste, dunque, le quattro principali criticità da affrontare che, di certo, non rappresentano una sorpresa se è vero che se ne parla da molti lustri.

Il quadro generale è, infatti, rappresentativo di una situazione che desta forti preoccupazioni sia in ordine all’enorme mole dell’arretrato da smaltire che, al 30 giugno del 2011, è pari a quasi 9 milioni di processi (5,5 milioni per il civile e 3,4 milioni per il penale), sia con riferimento ai tempi medi di definizione che nel civile sono pari a 7 anni e tre mesi (2.645 giorni) e nel penale a 4 anni e nove mesi (1.753 giorni).

Peraltro nel settore civile l’inefficienza nella definizione dell’arretrato ha dato luogo a costose e talvolta paradossali conseguenze.

Si è già detto che il ritardo nella definizione dei giudizi dipende, in larga misura, dal numero davvero esorbitante di questioni per le quali si richiede l’intervento del giudice. Con oltre 2,8 milioni di nuove cause in ingresso in primo grado l’Italia è seconda soltanto alla Russia nella speciale classifica stilata nel citato rapporto CEPEJ. Ebbene, proprio questo fenomeno determina un ulteriore intasamento del sistema conseguente al numero progressivamente crescente di cause intraprese dai cittadini per ottenere un indennizzo conseguente alla ritardata giustizia.

Al riguardo i numeri non ammettono equivoci. Approvata la legge (n. 89 del 2001 a tutti nota come legge Pinto) che consente di indennizzare l’irragionevole durata del processo si è verificata una vera e propria esplosione di questo contenzioso passato dalle 3.580 richieste del 2003 alle 49.596 del 2010.

Un secondo effetto negativo indotto da tale contenzioso è quello dell’ulteriore dilatazione dei tempi di definizione dei giudizi presso le Corti di Appello (cui è assegnata la competenza a decidere nella specifica materia) che si aggiunge all’entità ormai stratosferica e sempre crescente degli indennizzi liquidati (si è passati dai 5 milioni di euro del 2003, ai 40 del 2008 per giungere ai circa 84 del 2011).

Il dato di maggiore rilievo mi pare, però, quello fornito nel 2011 dalla Banca d’Italia, secondo cui l’inefficienza della giustizia civile italiana può essere misurata in termini economici come pari all’1% del PIL.

Se a questo si aggiunge che nella categoria “Enforcing Contracts” del rapporto Doing Business 2010 l’Italia si classifica al 157° posto su 183 paesi censiti, con una durata stimata per il recupero del credito commerciale pari a 1210 giorni, mentre in Germania ne bastano 394, si coglie la misura di quanto ciò incida negativamente sulle nostre imprese segnando, anche sotto tale aspetto, una divaricazione di efficienza con i migliori sistemi dei Paesi dell’Unione Europea che frena, ineluttabilmente, le possibilità di sviluppo ed anche gli investimenti stranieri.

Ho parlato, naturalmente, di quest’ultimo tema in diverse occasioni con il Presidente Monti e con l’intero Governo, traendone la comune convinzione che le interazioni tra economia e giustizia sono fortissime, che se si vogliono attrarre capitali in Italia sia necessario garantire certezza ed efficienza della giustizia, che se si vogliono accrescere le iniziative imprenditoriali italiane e straniere nel nostro Paese, sia indispensabile assicurare un percorso celere del processo.

Dunque, restituire efficienza alla giustizia civile per recuperare questa ricchezza e la competitività che ne deriva è il vero obiettivo che dobbiamo perseguire, perché ciò consentirebbe di trasformare le criticità del sistema giudiziario italiano in opportunità di sviluppo e di crescita economica, ben oltre i semplici (e pur necessari) risparmi di spesa.

[…]

EFFICIENZA, RISPARMIO DELLA SPESA E MIGLIORAMENTO DELLA PERFORMANCE

Nel quadro che ho appena descritto e tenuto conto dell’approssimarsi della scadenza naturale di questa legislatura il Governo ha inteso muoversi cercando di dare ulteriore impulso ai progetti ministeriali già in corso ed effettiva attuazione alle riforme organizzative che hanno già positivamente superato il vaglio parlamentare, attribuendo priorità al recupero dell’efficienza organizzativa e del risparmio della spesa. In tal senso, si è inteso dare immediata attuazione alla delega per la rimodulazione della geografia giudiziaria, dalla quale ci si attende non soltanto un consistente risparmio di spesa ed un più razionale utilizzo delle risorse umane disponibili, ma anche un netto recupero della specializzazione delle funzioni giudiziarie. Ciò consentirà di ottimizzare la performance e di elevare nettamente il tasso di prevedibilità delle decisioni giudiziarie (che è un altro dei parametri sui quali si misura il ranking internazionale del sistema Italia), cuore e fondamento della certezza del diritto che, troppo spesso, appare come smarrita.

Ciò premesso, appare opportuno analizzare qualche piccolo segnale di apertura del sistema verso il miglioramento, per verificare in quale direzione procedere e su quali meccanismi concentrarsi per amplificarne gli effetti. Il dato più rappresentativo al riguardo è costituito dalla conferma, per il secondo anno consecutivo, di un decremento – sia pure meno marcato rispetto a quello dello scorso anno – delle pendenze nel settore civile con un calo, al 30 giugno 2011, di oltre 170.000 processi rispetto al 30.6.2010 (-3%), mentre non si è ancora riusciti ad intaccare in modo significativo la durata media dei processi che si presenta sostanzialmente stabile, al pari dell’arretrato nel settore penale. È una goccia nel mare degli oltre 5,5 milioni di processi civili pendenti ma è la conferma di una inversione nel trend in costante ascesa degli ultimi anni. Quanto di questo risultato sia dovuto agli interventi sul contributo unificato, alla riforma del processo civile, ai miglioramenti della performance conseguenti agli investimenti sulle notifiche on line, sulla digitalizzazione, ovvero ad una ampia diffusione del progetto “Best-Practices”, finanziato dal Fondo sociale europeo per 45 milioni di euro è ancora difficile da dire, ma è certo che per questa ultima strada si deve accentuare l’impegno riformatore. Proprio in questi ultimi anni, infatti, nella struttura Ministeriale, negli uffici giudiziari, negli enti rappresentativi delle comunità locali interessate nei vari territori ed anche presso il Consiglio Superiore della Magistratura fervono le più svariate iniziative per individuare nuovi modelli organizzativi e nuove forme di collaborazione tra tutte le istituzioni interessate (si pensi soltanto al fiorire di decine di convenzioni per l’utilizzo di risorse umane aggiuntive, con Regioni, Province, Comuni, Consigli dell’Ordine degli Avvocati, Università, etc.) con una diffusione di una cultura dell’organizzazione che sino a poco tempo addietro era per molti versi estranea al sistema giudiziario italiano. Orbene, occorre raccogliere e governare queste nuove progettualità, tener conto delle indicazioni e delle positive esperienze che provengono dagli uffici giudiziari, senza perdere di vista la governance complessiva di questi progetti che si riferiscono ad un servizio erogato dallo Stato che, anche per ragioni di equità sociale, deve tendenzialmente svolgersi in modo armonico ed uniforme sull’intero territorio nazionale.

Una cabina di regia da esercitarsi insieme al Consiglio Superiore della Magistratura, ciascuno nel proprio ambito operativo, ma sempre in un rapporto di leale collaborazione istituzionale. Tutto ciò dovrebbe proiettarsi in un miglioramento del “servizio giustizia”, un “nobile” servizio di cui i cittadini devono poter uniformemente usufruire, un servizio che deve basarsi anche sul concetto di organizzazione funzionale degli uffici. Ne deve nascere una nuova “cultura” del magistrato, capace di occuparsi tanto del difficile compito di amministrare la giustizia, quanto dell’oneroso incarico di organizzare le strutture e gli uffici che da lui dipendono in maniera efficace e proficua.

§ La mediazione.

Con il decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 il Governo diede attuazione alla delega relativa all’introduzione in via generalizzata della mediazione come strumento di risoluzione alternativa delle controversie civili e commerciali. Si tratta di un’importante riforma che mira a ridurre in modo sensibile il numero di giudizi dinanzi al magistrato, offrendo alle parti uno strumento generale alternativo alla via giudiziale per risolvere le controversie dei cittadini. Questa importante riforma legislativa, completata con l’emanazione della normativa regolamentare di dettaglio è operativa dal 20 marzo 2011, con l’entrata in vigore delle norme sulla obbligatorietà della mediazione nelle materie tassativamente indicate dalla legge. Poiché l’analisi dei dati statistici riguarda soltanto il primo semestre dell’anno appena trascorso è certamente prematuro tentare una valutazione degli effetti della riforma sulla domanda di giustizia. Bisogna inoltre tener conto che è stata differita di un anno l’obbligatorietà della mediazione in materia di condominio e risarcimento del danno derivante da circolazione stradale. Nondimeno, rispetto alle 33.808 mediazioni iscritte nel primo semestre del 2011 si può cogliere un trend in crescita se si considera che a novembre 2011 le mediazioni registrate hanno superato la soglia delle 53.000 unità. Sorprendono, invece, i dati relativi allo scarso utilizzo della mediazione delegata dal giudice e l’elevato numero di mancate comparizioni dinanzi al mediatore. Vorrei però sottolineare due dati che mi sembrano rilevanti:

a)     nell’80% dei casi le parti partecipano alla mediazione con l’assistenza di un legale di fiducia (e ciò vale a scongiurare almeno in parte le preoccupazioni della classe forense in ordine ad una possibile minorata tutela tecnica dei diritti dei cittadini);

b)    in presenza delle parti il tentativo di mediazione si conclude con successo nel 60% dei casi, fatto che testimonia le grandi potenzialità deflattive dell’istituto.

Ciò premesso, sono consapevole delle polemiche, talvolta aspre, suscitate da questa importante innovazione che, certamente, è suscettibile di miglioramenti, ma che può rappresentare un importante pilastro nella strategia complessiva di recupero dell’efficienza del sistema giudiziario, attraverso una diminuzione dei casi in cui la soluzione della controversia avviene tramite il lungo e defatigante cammino del giudizio ordinario. Il nuovo Governo, peraltro, è già intervenuto con il decreto legge 22 dicembre 2011, n. 212, operando alcune correzioni ed integrazioni finalizzate a potenziarne l”utilizzo. Mi auguro che tutti gli addetti ai lavori condividano questa necessità, cogliendo le nuove e numerose opportunità professionali che la riforma offre.

[…]

GLI INTERVENTI LEGISLATIVI

§ Interventi sulla Giustizia Civile.

Mi sono già soffermata sulle conseguenze negative della durata del processo civile in Italia che costituiscono un pregiudizio non solo ai diritti individuali delle persone, ma anche alla stessa libertà di impresa (se solo si tiene conto che la durata media del processo civile nella gran parte degli ordinamenti comunitari marcatamente inferiore alla nostra).

Per questa ragione, l’emergenza nel settore civile costituisce una priorità di questo Governo, che intende raccogliere e valorizzare anche quanto è già stato fatto in precedenza. A tale riguardo, meritano di essere ricordati taluni provvedimenti significativi assunti dal precedente Governo.

Con il  decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111 è stato varato un Piano straordinario per l’efficienza della giustizia civile.

Prendendo spunto da alcune buone prassi in uso presso importanti uffici giudiziari si è introdotto l’obbligo di programmazione della gestione del contenzioso civile con la individuazione dei criteri di priorità nella trattazione delle cause e si è prevista la possibilità di sottoscrivere convenzioni per formare professionalmente giovani laureati come assistenti di studio dei magistrati.

Il decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione ha dato attuazione alla terza delega prevista dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 (dopo quelle sulla mediazione delle controversie in materia civile e commerciale e sull’atto pubblico informatico). Circa 30 procedimenti di cognizione disciplinati dalla legislazione speciale sono stati ricondotti ad uno dei tre modelli contemplati dal codice di procedura civile: procedimento ordinario di cognizione, procedimento del lavoro e procedimento sommario di cognizione, raccogliendo in un unico testo legislativo le regole processuali precedentemente sparse in decine di leggi diverse.

Con la legge 12 novembre 2011 n. 183 (legge di stabilità del 2012) sono state introdotte ulteriori disposizioni per l’accelerazione delle controversie civili e per l’uso della posta elettronica certificata nel processo civile.

Ovviamente questi positivi interventi non esauriscono il panorama di quanto dovrà ancora essere sottoposto all’approvazione del Parlamento per sostenere la semplificazione delle procedure ma anche la specializzazione della professionalità.

Infine, anche alle patologie va posto rimedio.

Crediamo di avere avviato a questo riguardo una prima risposta già con il decreto legge 22 dicembre 2011, n. 212, ove sono state introdotte disposizioni urgenti in materia di processo civile e di composizione delle crisi da sovraindebitamento. Il decreto riprende, per la parte relativa al debitore non consumatore, una procedura di esdebitazione già prevista da un disegno di legge parlamentare, che consente di razionalizzare e semplificare le procedure di esecuzione individuale, con un intervento limitato dell’autorità giudiziaria (che omologa l’accordo raggiunto tra debitore e creditore). Inoltre, nel decreto un’attenzione particolare è data al debitore consumatore, per il quale è prevista una apposita procedura di esdebitazione.

[…]

CONCLUSIONI

Le considerazioni che ho sviluppato, in modo necessariamente sintetico, spero consentano di apprezzare l’azione del Governo, sia con riferimento alle iniziative normative che all’impegno organizzativo ed esecutivo.

Il complesso di questi interventi non è ancora riuscito a determinare una svolta positiva e strutturale nel sistema giudiziario italiano ma, come si è visto, non mancano né i segnali positivi, né le potenzialità che consentono di prevedere un miglioramento concreto.

Bisogna lasciarsi influenzare da questi segnali positivi per consolidare e migliorare il servizio giustizia italiano con una strategia di sistema che è già ben definita nei suoi principali obiettivi.

Nel settore civile si tratta di deflazionare i flussi di ingresso della domanda di giustizia anche attraverso l’affermarsi di metodi alternativi di definizione dei conflitti; di garantire la specializzazione dei giudici; di aggredire con decisione la massa dei procedimenti arretrati con il piano straordinario di smaltimento (eventualmente perfezionato ed ampliato); di assicurare una più celere definizione dei giudizi e la prevedibilità delle decisioni.

Nel settore penale si tratta, anzitutto, di assicurare condizioni di dignità ai detenuti, nonché di razionalizzare e velocizzare il processo penale, di garantire ai magistrati tutti gli strumenti anche tecnici ed informatici, assicurando, al contempo, una gestione più oculata e razionale della spesa.

Nell’erogazione del “servizio” giustizia si tratta di assicurare condizioni di uniformità su tutto il territorio nazionale, attraverso una profonda revisione dei modelli organizzativi e della geografia giudiziaria, sorretta da robusti e sistemici interventi finalizzati all’uso sempre più intenso delle nuove tecnologie in grado di assicurare (se adeguatamente inserite in strutture ben organizzate) notevoli risparmi di spesa ed un sicuro miglioramento delle performance.

Per quanto possa apparire paradossale,  proprio oggi, in presenza di una drammatica congiuntura economica internazionale, si presenta l’occasione, forse irripetibile, di riformare davvero il sistema giudiziario italiano.

Nessuno di noi, infatti, può più permettersi di considerare ineluttabile il deficit di efficienza del sistema giudiziario italiano in un momento come quello attuale ove ogni settore della vita pubblica e privata è tenuto a garantire il proprio contributo operativo al miglioramento delle condizioni economiche del Paese. Si può far questo accettando supinamente e passivamente i sacrifici imposti dalle attuali necessità economiche oppure – come io credo sia più utile – lo si può fare, ciascuno nel proprio ambito, trasformando le criticità in opportunità di sviluppo e di miglioramento dei servizi offerti al cittadino.

È possibile applicare questo modello virtuoso anche al sistema giudiziario? Certamente sì, purché tutti i protagonisti: magistrati, avvocati, personale amministrativo, cittadini utenti, e non soltanto le istituzioni competenti (Governo, Parlamento e C.S.M.) siano disposti ad accettare che un altro modello di servizio giudiziario, più snello, più rapido, meno costoso e meno intasato, non soltanto è possibile, ma è oggi assolutamente necessario e non più rinviabile. Ciascuno di noi sarà magari chiamato a rinunciare a qualche privilegio o a qualche abitudine consolidata e rassicurante, ma così facendo consegneremo al Paese, cioè a tutti noi, un sistema giudiziario migliore e più giusto.

Vi ringrazio.

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Pubblicato in ADR