La Reumatologia: è quella branca della medicina che si occupa delle condizioni morbose che interessano l’apparato muscolo-scheletrico ed i tessuti connettivi dell’organismo, ovvero le malattie reumatiche possono interessare:
- Ossa.
- Articolazioni.
- Muscoli.
- Organi interni (ad esempio cuore, cervello, polmoni etc.).
- Vasi.
- Nervi.
Le malattie reumatiche sono numerose e molto differenti per frequenza e gravità:
- Artrosi (osteoartrosi);
- Artriti primarie;
- Artropatie da microcristalli e dismetaboliche;
- Affezioni dolorose non traumatiche del rachide;
- Malattie dell’osso;
- Connettiviti e vasculiti (malattie reumatiche sistemiche);
- Artriti causate da agenti infettivi;
- Reumatismi extra-articolari;
- Sindromi neurologiche, neurovascolari e psichiche;
- Malattie congenite del connettivo;
- Neoplasie e sindromi correlate;
- Altre malattie che si presentano come possibili manifestazioni reumatologiche;
- Miscellanea.
- Articolazioni.
- Muscoli.
- Ossa dello scheletro.
- VES.
- PCR.
- Emocromo completo.
- Funzionalità epatica.
- Renale.
- RA test.
- Anticorpi antinucleo, qualora vi sia un sospetto di patologia autoimmune.
- Farmaci sintomatici (ovvero quei farmaci che agiscono sui sintomi, ma non sono in grado di modificare il decorso della patologia).
- Farmaci specifici (ovvero farmaci che agiscono sui meccanismi ezio-patogenetici della malattia e che possono rallentarne sia la progressione che l’entità dei danni).
L’artrosi:è senza ombra di dubbio, la patologia articolare più diffusa fra le persone adulte, è una grave patologia degenerativa a carattere cronico caratterizzata da alterazioni della cartilagine articolare.
Questa forma di reumatismo si manifesta solitamente a partire dall’età di 40 anni, anche se non mancano casi di persone che iniziano a soffrirne molti anni prima.
La malattia si sviluppa lentamente e gradualmente e colpisce più frequentemente i soggetti di sesso femminile.
Con il termine artrosi si intende una condizione patologica in cui la cartilagine articolare che ricopre le estremità delle ossa nelle articolazioni gradualmente sparisce.
Dove una volta c’era la cartilagine articolare liscia che consente alle ossa di scorrere facilmente l’una contro l’altra quando si piega o si raddrizza un’articolazione, al suo posto adesso c’è una superficie ruvida e sfilacciata.
Questo si traduce in dolore durante il movimento di queste articolazioni.
Le articolazioni più frequentemente colpite dall’artrosi sono:
- Colonna lombare: 33%.
- Colonna cervicale: 30%.
- Ginocchio: 27%.
- Anca: 25%.
- Mani: 11%.
- Piedi: 9%.
- Colonna dorsale: 0.9%.
Sintomi:
L’artrosi può colpire qualsiasi articolazione del corpo, con sintomi che vanno da lievi a invalidanti.
Un’articolazione affetta da artrosi può essere dolorosa e infiammata.
Senza cartilagine, le ossa, durante il movimento, sfregano direttamente l’una contro l’altra.
Questo è ciò che provoca il dolore e l’infiammazione.
Il dolore in genere è un dolore sordo che si sviluppa gradualmente nel tempo.
Il dolore può essere più forte al mattino e alleviarsi durante la giornata con l’attività.
Mentre un’attività vigorosa può causare il divampare di un dolore improvviso e violento.
Un’articolazione artrosica può irrigidirsi e diventare gonfia, può sembrare ingrandita o deforme.
Spesso si può notare una o più protuberanze sull’articolazione malata.
Se la flessione dell’articolazione diventa difficile, il movimento può risultare limitato.
Frammenti liberi di cartilagine e altri tessuti all’interno dell’articolazione artrosica possono interferire con il corretto movimento dell’articolazione stessa.
In questi casi l’articolazione malata si può anche bloccare all’improvviso.
In altri casi può scricchiolare, si può avvertire un click, uno scatto oppure può provocare un rumore stridente (crepitìo).
In altri casi l’articolazione artrosica può diventare debole e incurvata.
Anche se l’artrosi non può essere curata, la diagnosi precoce e il relativo trattamento può rallentarne la progressione, alleviare il dolore e ripristinare la funzione.
Trattamento:
- Trattamento non chirurgico:
Quando messo in pratica precocemente, il trattamento non chirurgico può rallentare la progressione dell’artrosi, aumentare il movimento e migliorare la resistenza.
La maggior parte dei programmi di trattamento uniscono le modifiche dello stile di vita, i farmaci e la fisioterapia.
Modifiche dello stile di vita: lo specialista può raccomandarvi riposo o modifiche delle attività che vi provocano il dolore dell’artrosi, tra cui modifiche sia nel lavoro oppure nelle attività sportive.
Può significare il passaggio da attività ad alto impatto (come aerobica, correre, saltare o competizioni sportive) ad attività a basso impatto (come lo stretching, camminare, nuotare o andare in bicicletta).
La dieta per il calo del peso corporeo può essere molto utile se si è in sovrappeso, in particolare se l’artrosi colpisce le articolazioni sotto carico (come il ginocchio, l’anca , la colonna vertebrale o la caviglia).
Farmaci:
I farmaci anti-infiammatori non steroidei possono aiutare a ridurre l’infiammazione.
A volte il vostro medico può consigliarvi potenti farmaci anti-infiammatori chiamati corticosteroidi (cortisone), che vengono iniettati direttamente nell’articolazione (infiltrazioni).
Queste infiltrazioni di cortisone daranno un sollievo temporaneo dal dolore e ridurranno il gonfiore.
In altri casi il vostro ortopedico può consigliarvi infiltrazioni di un costituente della matrice cartilaginea (Acido Ialuronico) sempre all’interno dell’articolazione.
Anche gli integratori alimentari chiamati glucosamina e condroitin-solfato possono aiutare ad alleviare il dolore dell’artrosi.
Fisioterapia:
Un programma equilibrato di fitness, terapia fisica e/o di terapia occupazionale può migliorare la flessibilità delle articolazioni, aumentarne l’ampiezza del movimento, ridurre il dolore e potenziare i muscoli.
Possono essere necessari dispositivi di supporto (ad esempio un tutore, una stecca, bende elastiche, bastoni, stampelle o deambulatori).
Terapia mediante applicazione di ghiaccio o calore può essere utile all’articolazione malata per brevi periodi, più volte al giorno.
- Trattamento chirurgico:
Se i trattamenti non-chirurgici precoci non arrestano il dolore o se con il tempo perdono la loro efficacia, la chirurgia può essere presa in considerazione.
La decisione di trattare chirurgicamente un’articolazione artrosica dipende dall’età e dal livello di attività del paziente, il grado di artrosi e la velocità con cui l’artrosi è progredita.
Le opzioni chirurgiche per il trattamento dell’artrosi comprendono:
- Artroscopia.
- L’osteotomia.
- La fusione articolare (artrodesi).
- La sostituzione dell’articolazione (protesica).
Artroscopia: il chirurgo utilizza strumenti miniaturizzati delle dimensioni di una matita e una microtelecamera collegata ad una fibra ottiche flessibile (artroscopio) introdotti nell’articolazione malata attraverso due o tre piccole incisioni per poi rimuovere speroni ossei, le cisti ossee, il rivestimento cartilagineo danneggiato o frammenti liberi nell’articolazione.
Osteotomia: in alcuni casi soprattutto nel ginocchio e quando questo è deviato verso l’interno o verso l’esterno (ginocchio varo o valgo) si seziona l’osso della tibia o del femore, si riallinea l’arto fissandolo in genere con placche e viti per spostare il carico sulla zona sana dell’articolazione.
Fusione articolare (artrodesi): in questo caso il chirurgo eliminerà l’articolazione malata fondendo le estremità delle ossa (fusione). Fili metallici, placche, viti o barre manterranno le ossa in posizione mentre si fondono. Questa procedura elimina il dolore ma anche la capacità di movimento dell’articolazione.
Sostituzione delle articolazioni (protesi): con questa procedura che è anche la più comunemente utilizzata, il chirurgo ortopedico rimuoverà le parti malate della ossa e creerà una nuova articolazione artificiale con componenti di metallo, plastica o ceramica (intervento chiamato di artroprotesi).
La categoria delle artriti: è piuttosto numerosa e comprende più di cinquanta tipi diversi, che si possono suddividere, per semplicità, in cinque gruppi principali:
- Artriti idiopatiche o primarie.
- Artriti da microcristalli.
- Artriti da germi.
- Artriti delle connettiviti o delle vasculiti.
- Artriti secondarie a malattie non reumatiche.
I meccanismi che causano le artriti sono due fattori:
- Uno rappresentato dalla predisposizione genetica.
- L’altro da stimoli talvolta sconosciuti, talvolta noti. Questi ultimi possono provenire dall’interno dell’organismo (per esempio gli autoanticorpi) o dall’esterno (per esempio germi o cristalli).
Dall’incontro di questi fattori si scatena una cascata di eventi che hanno come protagonisti alcune cellule del sangue, i globuli bianchi o leucociti (e fra questi in particolare, i linfociti) poi i neutrofili e infine i macrofagi.
Queste cellule vengono attirate nel luogo dell’infiammazione e “attivate” con proliferazione e produzione di alcune sostanze essenziali per lo sviluppo dell’infiammazione stessa, quali le citochine (in particolare il Tumor Necrosis Factor o TNF) e l’interleuchina-1 (IL-1).
Queste, a loro volta, stimolano la produzione di metalloproteasi, che esplica un’azione destruente per l’osso e per la cartilagine articolare.
Il tessuto più coinvolto è però la membrana sinoviale, che prolifera laddove si forma un ispessimento detto panno, provocando un aumento anomalo di liquido sinoviale.
L’articolazione colpita risulta infatti:
- Calda e arrossata (a causa di un maggiore afflusso di sangue).
- Gonfia (per aumento del volume di liquido sinoviale).
- Dolente (per la produzione a livello locale di sostanze chimiche che causano dolore).
Questi fenomeni, però, non sono così evidenti quando colpiscono la colonna vertebrale o le articolazioni del bacino; la valutazione in questi casi è quindi difficile, ed è ciò che accade nelle cosiddette spondiliti.
L’infiammazione, articolare o generalizzata, associata all’artrite determina una reazione nell’intero organismo, e i suoi segnali si avvertono anche a livello del sangue, con alterazione di alcuni valori, detti indici di infiammazione, tali valori, per esempio:
- La velocità di eritrosedimentazione (VES).
- La proteina C reattiva (PCR).
che aumentano già qualche ora dopo l’inizio del processo infiammatorio e ne seguono abbastanza fedelmente l’evoluzione, fino a ritornare a valori normali quando l’infiammazione si spegne.
Ovviamente, se le artriti diventano croniche, questi indici permangono costantemente elevati.
Alcune forme della patologia, per motivi non completamente noti, non determinano purtroppo l’aumento di questi indici, rendendo così difficile la diagnosi da parte del medico.
Laddove fosse presente un evidente gonfiore articolare, è molto utile aspirare con una siringa il liquido sinoviale e analizzarlo, per svelare rapidamente la presenza di infiammazione ed eventualmente di alcuni agenti che potrebbero esserne responsabili, quali i microcristalli e i germi.
- L’artrite reumatoide (una delle più gravi forme di artrite).
- La spondilite anchilosante.
In genere, la spondilite anchilosante femminile presenta un decorso meno severo rispetto a quello della controparte maschile.
Negli stadi iniziali, la spondilite potrebbe essere scambiata per un semplice mal di schiena (lombalgia), facilmente reversibile con sport e riposo: in questa fase, in genere, seppur fastidioso, il dolore non è acuto.
- Morbo di Crohn.
- Irite acuta.
- Uveite anteriore.
- Colite ulcerosa talvolta associate a febbricola ed anemia.
Rare le concomitanti patologie cardiovascolari.
Le artropatie da microcristalli e dismetaboliche sono patologie caratterizzate da un deposito di minerali nei tessuti delle articolazioni.
- Tessuto cutaneo.
- Cartilagini articolari.
- Reni.
- Tendini.
Se il soggetto è un individuo adulto, è possibile che si tratti di condrocalcinosi, ovvero la forma più comune di artropatia da microcristalli nota.
Rientrano in questa categoria anche:
- La condrocalcinosi (nota anche come artropatia da pirofosfato di calcio).
- L’idrossiapatite (nota anche come artropatia da fosfato basico di calcio).
- L’artropatia dell’emocromatosi.
- Il morbo di Wilson ecc.
Le Affezioni non traumatiche del rachide sono affezioni causate probabilmente da processi degenerativi, infiammatori, metabolici e neoplastici.
Tra le più note ricordiamo: le Cervicalgie, le Lombalgie, le Dorsalgie.
1) LE CERVICALGIE:
I dolori cervicali partono dalle vertebre cervicali, ma possono in seguito irradiarsi alla testa, agli arti o alla schiena.
La cervicalgia è uno dei disturbi muscolo-scheletrici più diffusi.
Colpisce soprattutto dopo i 45 anni, ma può presentarsi anche in persone più giovani.
Essi possono essere accompagnati da: mal di testa, senso di nausea e capogiri.
Tra i sintomi più comuni della cervicale troviamo:
- I dolori a livello delle vertebre cervicali.
- Il torcicollo.
- Le vertigini.
- La cefalea.
- I disturbi della vista.
- I disturbi dell’udito.
- Problemi di deglutizione.
Quando i dolori si estendono ad altre parti del corpo, possono interessare anche:
- La nuca.
- Le braccia.
- Le mani.
I dolori alla zona del collo possono essere accompagnati da rigidità e da contratture muscolari.
Possono presentarsi anche altri sintomi come:
- Ronzii nelle orecchie.
- Perdita di equilibrio.
- Problemi di udito.
- Cerchio alla testa.
- Problemi della vista.
- Dolore alla fronte e sopra gli occhi.
Le Cause della cervicale sono:
- Contratture muscolari: le contratture muscolari sono una causa molto comune per quanto riguarda i dolori cervicali. In particolare, nella fascia di età giovanile le cervicalgie sono quasi sempre dovute a semplici contratture muscolari.
- Postura scorretta e vita sedentaria: chi conduce una vita sedentaria, con particolare riferimento al lavoro d’ufficio, è più soggetto al rischio di assumere per lungo tempo una postura scorretta, con particolare riferimento al tratto superiore della colonna vertebrale e del collo. La postura scorretta e la vita sedentaria possono influire sulle vertebre cervicali e causare dolore. Il problema della postura scorretta riguarda anche gli studenti che trascorrono lunghe ore chini sui libri o sulla tastiera del pc.
- Smartphone: a lungo andare avere spesso la testa china per controllare lo smartphone potrebbe causare problemi alla schiena e al tratto cervicale in particolare.
- Fattori traumatici: i dolori cervicali possono essere causati da fattori traumatici che possono includere incidenti nella vita quotidiana o sul lavoro, lesioni traumatiche pregresse, colpo di frusta, trasporto di pesi con ricadute sul collo e sulla schiena.
- Ernia cervicale: tra le cause dei dolori cervicali troviamo l’ernia cervicale. Si tratta di un disturbo provocato dallo schiacciamento dei dischi delle vertebre cervicali che può essere causato da un trauma meccanico da incidente o tamponamento stradale, per uno sforzo eccessivo, per la postura scorretta o per il colpo di frusta, tra le possibili cause.
- Artrosi cervicale: anche l’artrosi cervicale può essere alla base della comparsa di dolori cervicali. L’artrosi cervicale è una patologia degenerativa delle vertebre cervicali che può iniziare a verificarsi naturalmente intorno ai 50 anni, ma che può comparire anche prima per vari motivi. Le vertebre cervicali si deformano, comprimono i nervi e causano dolore.
Altre cause dei dolori cervicali possono essere:
- Lo stress.
- L’utilizzo di cuscini inadeguati.
- I difetti occlusali delle arcate dentali.
- I difetti del campo visivo che influiscono sulla colonna vertebrale.
- L’ ipercifosi dorsale.
- L’iperlordosi lombare.
- I colpi di freddo.
- La pratica di alcuni tipi di sport, come boxe, rugby e sollevamento pesi.
2) LE LOMBALGIE:
I dolori alla colonna vertebrale sono un disturbo abbastanza frequente.
La curva lombare ha la funzione di compensare la rigidità di 3 volumi tra i quali è interposta: bacino, cranio e torace.
Formata da trentatré vertebre, la colonna vertebrale sostiene tutto il corpo. Alle vertebre sono collegati legamenti e muscoli che ci permettono di effettuare tutti i movimenti e di assumere le più articolate posture.
Le vertebre sono costituite da un corpo (anteriore) e da un arco (posteriore).
Tra i corpi vertebrali si trovano degli “ammortizzatori” chiamati dischi intervertebrali.
Questi sono costituiti da un involucro fibroso duro, all’interno del quale è contenuto del materiale gelatinoso (nucleo polposo).
Il disco ha la funzione di ammortizzare e di permettere l’articolazione dei corpi vertebrali tra loro. Le vertebre si articolano tra loro anche a livello dei processi articolari posteriori.
I fori vertebrali contenuti all’interno dei rispettivi archi, formano il canale vertebrale, all’interno del quale corrono le fibre nervose che costituiscono il midollo spinale.
Dal midollo si staccano le radici nervose, che fuoriuscendo dai forami intervertebrali, vanno a formare i nervi periferici.
Alla struttura della colonna concorrono numerosi legamenti e muscoli che ne regolano la funzione, e che possono essere coinvolti nella genesi del dolore lombare.
Può originare da:
- Muscoli.
- Osso.
- Legamenti.
- Tendini.
- Capsule articolari.
- Radici nervose,
- Disco intervertebrale.
CAUSE DI LOMBALGIA:
- Discopatie ed ernia discale:
Quando il disco intervertebrale si degenera, va incontro ad un assottigliamento e cede, protrudendo all’esterno (bulging discale), fino a irritare le strutture nervose contenute nella parete del canale vertebrale (plesso intervertebrale), e provocando la lombalgia.
Se il nucleo polposo contenuto all’interno del disco, ernia posteriormente attraverso una breccia nell’anello fibroso, si crea l’ernia del disco vera e propria, che può essere contenuta dal legamento longitudinale posteriore, oppure espulsa all’interno del canale vertebrale, venendo quindi a comprimere le strutture nervose e dando luogo a sintomi periferici riferiti al territorio innervato dal nervo compromesso (sciatalgia o cruralgia).
I sintomi dell’ernia discale possono essere di tipo irritativo se sono limitati al dolore o ai formicolii; oppure di tipo compressivo se danno luogo a un deficit neurologico (di forza o di sensibilità).
La sede più comune di discopatie è la cerniera lombo-sacrale, più sottoposta a stress in quanto molto mobile.
- Artrosi:
L’artrosi è un processo degenerativo a carico delle strutture articolari, che per quanto riguarda la schiena può coinvolgere le articolazioni intersomatiche (tra i corpi vertebrali) o interapofisarie (tra i processi articolari posteriori).
L’artrosi determina un contatto irregolare tra le strutture articolari, che genera dolore locale, ma può anche causare una deformità articolare, con compressione sulle strutture nervose e quindi sintomi periferici.
La stenosi del canale vertebrale è un restringimento complessivo del canale, con sofferenza globale delle strutture nervose ivi contenute.
- Spondilolisi e spondilolistesi:
La spondilolisi è un’interruzione della regione istemica vertebrale, che può avere origine congenita, traumatica o microtraumatica che si manifesta in genere con lombalgia, e che può evolvere in spondilolistesi (spostamento in avanti di un corpo vertebrale sul sottostante), con instabilità vertebrale che può causare restringimento dei forami intervertebrali e del canale vertebrale con dolore lombare o sintomi periferici.
- Osteoporosi:
L’osteoporosi è una perdita di massa ossea, per cui le ossa diventano più fragili e soggette a fratture e a processi degenerativi.
L’osteoporosi è una delle cause più frequenti di mal di schiena nelle donne d’età avanzata, poiché le modificazioni ormonali legate alla menopausa favoriscono fortemente l’osteoporosi.
L’osteoporosi è però possibile anche in altre circostanze, favorita da particolari turbe ormonali, assunzione di farmaci, immobilità, ecc…
Rare cause di lombalgia sono:
- Le infezioni.
- I tumori.
- Le fratture.
- Le Mialgie.
- L’entesiti.
- Le lombalgie posturali.
- L’insufficienza o rigidità muscolare.
- Difetti posturali comuni sono legati alla scoliosi, alla differente lunghezza degli arti inferiori, o ad atteggiamenti viziati legati al lavoro o all’attività fisica svolta.
Le lombalgie di origine muscolare sono riferite solitamente a livello della muscolatura paravertebrale e spesso sono accentuate dal mantenimento di posizioni fisse, mentre migliorano con il movimento.
Lombalgie di origine extravertebrale a livello lombare si possono estrinsecare dolori che originano da organi interni, come nel casi di:
- Calcolosi renale.
- Aneurisma aortico.
- Patologie ginecologiche.
- Patologie intestinali.
Gli accertamenti che possono essere utili nella diagnosi delle cause di lombalgia sono:
- Radiografie convenzionali
Eseguite sotto carico mettono in evidenza difetti di allineamento del bacino o scoliosi
Eseguite in flessione ed estensione del tronco (esame dinamico) mettono in evidenza eventuali instabilità vertebrali.
- Risonanza magnetica: ideale per visualizzare i dischi intervertebrali e il tessuto nervoso eventualmente compromesso.
- TAC: ideale per la diagnosi delle patologie di pertinenza ossea.
La terapia delle lombalgie è quanto mai varia, proprio in virtù della varietà delle possibili cause. Vanno menzionati:
- Il trattamento delle dismetrie degli arti inferiori.
- Il trattamento riabilitativo in caso di difetti posturali.
- Le terapie strumentali (laser ecc.).
Dopo aver risolto il quadro doloroso è importante il mantenimento del tono e dell’elasticità muscolare, con un’attività fisica ben tollerata.
È possibile dover ricorrere alla chirurgia in caso di ernie del disco, stenosi del canale vertebrale o instabilità vertebrali in presenza di deficit neurologici.
3) LE DORSALGIE:
La dorsalgia (dolore nel tratto centrale della schiena, o in zona scapola), è uno dei problemi più ostici, perchè quasi sempre la causa è lontana dal punto in cui il dolore si manifesta.
La prolungata posizione piegata in avanti al computer è indubbio che possa sollecitare fortemente la muscolatura e la colonna dorsale, tuttavia molto spesso questo problema si presenta particolarmente resistente alle cure riabilitative, come ad esempio massaggi localizzati.
Questo succede appunto in quanto molto spesso il dolore dorsale è legato a sofferenza di altre strutture
COME:
- Disturbo cervicale, a causa dell’irritazione di nervi e muscoli il punto più avvertito risulta essere quello dorsale.
- Ad uno stato di contrattura del diaframma, importante muscolo respiratorio che tende a bloccarsi nei momenti di stress o sovraccarico fisico.
- A stati di sofferenza dello stomaco.
La prima cosa da fare in caso di dorsalgia è una accurata valutazione posturale e metabolica per capire se ci troviamo di fronte ad un problema localizzato o ad un dolore riflesso di altri problemi.
A seconda del caso, può essere impostato un piano di trattamento basato su esercizi specifici e trattamenti manuali, se necessario.
Le Malattie dell’osso più diffuse sono:
1) L’OSTEOPOROSI:
L’osteoporosi: è una patologia ossea molto comune che provoca un indebolimento delle ossa, che a sua volta può causare fratture della colonna vertebrale, del femore e del polso anche dopo semplici cadute o addirittura solo con uno starnuto o un colpo di tosse.
In seguito, l’organismo inizia a rimuovere più tessuto vecchio di quanto ne produca di nuovo.
- Il paziente non ha abbastanza massa ossea forte prima dei trent’anni, quando inizia il processo di degrado.
- Il processo di degrado dopo i trent’anni è troppo veloce.
Cause:
I medici non sanno con esattezza perché ci si ammala di osteoporosi, ma sanno che è un disturbo che incide sul normale processo di rimodellamento osseo.
Le ossa, infatti, cambiano continuamente: nuovo tessuto osseo viene fabbricato, mentre il vecchio viene distrutto (riassorbimento) e questo processo è detto turnover o rimodellamento osseo.
Quando si è giovani l’organismo produce più tessuto osseo di quanto ne distrugge, quindi la massa ossea aumenta fino a raggiungere il picco verso i 30 anni. In seguito il rimodellamento osseo continua, però si distrugge leggermente più tessuto osseo di quanto se ne fabbrichi.
La probabilità di ammalarsi di osteoporosi dipende dalla massa ossea raggiunta tra i venti e i trent’anni (picco di massa ossea) e dalla velocità con cui la si distrugge in seguito.
Maggiore è il picco di massa ossea, maggiore è la quantità di tessuto osseo “di riserva”, e meno probabilità si hanno di ammalarsi di osteoporosi nella vecchiaia.
La forza delle ossa dipende dalle loro dimensioni e dalla densità; la densità, a sua volta, dipende in parte dalla quantità di calcio, fosforo e altri minerali contenuti nelle ossa.
Se le ossa contengono meno minerali del normale sono meno forti e quindi finiscono per perdere la struttura di supporto interna.
Anche altri fattori, ad esempio i livelli ormonali, influiscono sulla densità ossea.
Nelle donne, durante la menopausa, i livelli di estrogeno si abbassano, quindi la degenerazione ossea è più veloce.
Negli uomini, se i livelli di estrogeno e testosterone sono bassi, si può verificare la diminuzione della massa ossea.
Fattori di rischio:
La probabilità di soffrire di osteoporosi può aumentare per diverse cause:
- Alcune possono essere corrette.
- Altre purtroppo no.
Fattori di rischio che possono essere corretti:
- Scarso apporto di calcio.
- La mancanza di calcio, se si protrae per tutta la vita, ha un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’osteoporosi.
- L’apporto insufficiente di calcio contribuisce alla diminuzione della densità ossea e al deperimento osseo precoce, quindi fa aumentare il rischio di fratture.
- Uso di tabacco. I ricercatori non hanno ancora scoperto quale sia il ruolo svolto dal tabacco nell’osteoporosi, però sanno che l’uso di questa sostanza contribuisce a indebolire le ossa.
- Disordini alimentari. Le donne e gli uomini affetti da anoressia o da bulimia hanno un maggior rischio di diminuzione della densità ossea.
- Stile di vita sedentario. Chi sta a lungo seduto ha maggiori rischi di soffrire di osteoporosi rispetto a chi è più attivo. Tutti gli esercizi di resistenza fanno bene alle ossa, ma camminare, correre, saltare, ballare e sollevare pesi sembrano particolarmente utili per creare ossa sane.
- Consumo eccessivo di alcool. Il consumo regolare di più di due bicchieri di alcoolici al giorno fa aumentare il rischio di osteoporosi, forse perché l’alcool interferisce con l’assorbimento del calcio da parte dell’organismo.
- Uso di corticosteroidi. L’uso protratto di corticosteroidi, ad esempio di prednisone (Deltacortene), cortisone (Cortone Acetato), prednisolone (DeltacorteneSol) e desametasone (Decadron, Soldesam®) è dannoso per le ossa. Questi farmaci sono usati in molti casi per curare i disturbi cronici, come l’asma, l’artrite reumatoide e il lupus e probabilmente non potrete interrompere la terapia per diminuire il rischio di osteoporosi.
- Altri farmaci. L’uso prolungato degli inibitori dell’aromatasi per la terapia contro il cancro al seno, degli antidepressivi inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), del metotrexato per la terapia contro il cancro, di alcuni anticonvulsivanti, degli antiacidi inibitori della pompa protonica e degli antiacidi contenenti alluminio è associato a un maggior rischio di osteoporosi.
Fattori di rischio che non possono essere corretti:
- Sesso femminile, le fratture causate dall’osteoporosi sono due volte più frequenti tra le donne che tra gli uomini.
- Invecchiamento, più si diventa anziani, più aumenta il rischio di osteoporosi.
- Razza, il rischio di soffrire di osteoporosi è massimo se si è bianchi o orientali.
- Precedenti famigliari, se si ha un genitore o un parente affetto da osteoporosi il rischio aumenta, soprattutto se in famiglia ci sono stati casi di fratture in passato.
- Corporatura, gli uomini e le donne molto magri (con un indice di massa corporea minore o uguale a 19) o di corporatura molto esile tendono a essere maggiormente a rischio, perché probabilmente hanno meno massa ossea “di riserva” da cui attingere durante l’invecchiamento.
- Ormoni tiroidei, l’osteoporosi può anche essere causata dall’eccesso di ormoni tiroidei. Questa situazione si può verificare perché la tiroide è più attiva del normale (ipertiroidismo) oppure perché si assumono quantità eccessive di ormoni tiroidei per curare una tiroide meno attiva del normale (ipotiroidismo).
- Malattie e interventi che influiscono sulla salute delle ossa. Gli interventi chirurgici allo stomaco (gastrectomia) e quelli di liposuzione possono interferire con la capacità dell’organismo di assorbire il calcio. Anche le malattie come il morbo di Crohn, la celiachia, l’iperparatiroidismo e la sindrome di Cushing (una malattia rara in cui le ghiandole surrenali producono ormoni corticosteroidi in eccesso) hanno lo stesso effetto.
I sintomi:
Nelle prime fasi dell’osteoporosi, di solito non si avverte né dolore né alcun altro sintomo, però una volta che la patologia ha indebolito le ossa potreste iniziare a soffrire dei segni e sintomi tipici della malattia, tra cui ricordiamo:
- Mal di schiena, anche intenso, provocato dalla frattura o dal collasso di una vertebra.
- Diminuzione della statura.
- Postura curva.
- Frattura delle vertebre, del polso, del femore o di altre ossa.
Prima di arrivare allo stadio avanzato in pochi casi l’osteoporosi provoca sintomi degni di nota, quindi si consiglia di effettuare l’esame di densitometria ossea se:
- Siete una donna di età superiore ai 65 anni, o un uomo di età superiore ai 70 anni, indipendentemente dai fattori di rischio.
- Siete una donna in menopausa con almeno un fattore di rischio per l’osteoporosi.
- Siete un uomo tra i 50 e i 70 anni, con almeno un fattore di rischio per l’osteoporosi.
- Avete più di 50 anni, e in passato avete avuto fratture ossee.
- Assumete farmaci, come il prednisone (Deltacortene), gli inibitori dell’aromatasi o gli anticonvulsivanti, che sono collegati all’osteoporosi.
- Siete in menopausa e avete interrotto recentemente la terapia ormonale sostitutiva.
- Siete in menopausa precoce.
I Pericoli:
Le fratture sono le complicazioni più frequenti e gravi dell’osteoporosi.
Spesso colpiscono le vertebre o il femore, cioè le ossa che sostengono direttamente il corpo.
Le fratture al femore spesso sono provocate da una caduta.
Anche se la maggior parte dei pazienti si riprende relativamente bene grazie alle terapie chirurgiche moderne, le fratture al femore possono essere invalidanti e causare persino la morte come complicazione postoperatoria, soprattutto tra gli anziani.
Sono frequenti anche le fratture al polso dovute alle cadute.
In alcuni casi le fratture alla colonna vertebrale possono verificarsi anche se non siete caduti e non vi siete fatti male.
Le ossa della schiena (vertebre) possono essere talmente deboli che iniziano a comprimersi e a collassare.
Le fratture da compressione fanno davvero male e impiegano molto tempo per guarire.
Se avete diverse fratture di questo genere la vostra altezza può diminuire e la postura può diventare curva.
Lo specialista di solito diagnostica l’osteoporosi misurando la densità delle ossa attraverso diversi esami in grado di rilevare la mineralometria ossea computerizzata (MOC).
Il miglior esame di controllo è l’assorbimetria a raggi X a doppia energia (DEXA).
Si tratta di un esame veloce e semplice che dà risultati accurati. Misura la densità delle vertebre, del femore e del polso, le zone che hanno maggior probabilità di essere colpite dall’osteoporosi, ed è usato per tenere sotto controllo i cambiamenti di queste ossa nel corso del tempo.
Tra gli altri esami in grado di misurare accuratamente la densità ossea ricordiamo:
- Ecografia.
- Tomografia computerizzata (TAC) quantitativa.
- Assorbimetria a singolo raggio fotonico.
- Cura e terapia.
Per curare l’osteoporosi lo specialista può consigliare:
- Una dieta sana, che comprende calcio, vitamina D e integratori di calcio.
- Assunzione di farmaci.
Tra gli alimenti che contengono calcio e vitamina D ricordiamo il latte, i derivati del latte come i formaggi, e le arance.
Gli integratori di calcio sono altrettanto efficaci del calcio ricavato dalla dieta: sono tra l’altro poco costosi e ben tollerati dall’organismo.
In alcuni casi gli integratori di calcio possono provocare costipazione. Se bevete più acqua e mangiate alimenti ricchi di fibre, come frutta e verdura, riuscirete ad evitarla.
Gli estrogeni sono molto efficaci per prevenire l’osteoporosi, ma il loro uso dovrebbe essere valutato da un ginecologo e tenuto sotto controllo attentamente.
La terapia ormonale sostitutiva ha parecchi vantaggi, ma potrebbe anche avere diversi effetti collaterali gravi.
Questi consigli vi aiuteranno ad alleviare i sintomi e a non dover dipendere da nessuno se siete affetti dall’osteoporosi:
- Fate attenzione alla postura. Una buona postura (testa in alto, mento verso l’interno, spalle in fuori, schiena diritta e parte inferiore della spina dorsale inarcata) vi aiuta a non accumulare tensione sulla colonna vertebrale.
- Quando state seduti o guidate mettete un asciugamano arrotolato contro la parte bassa della schiena.
- Se dovete leggere o lavorare non sdraiatevi.
- Quando dovete sollevare un peso, piegate le ginocchia e non la schiena, e scaricate il peso sulle gambe, tenendo dritte le spalle.
- Prevenite le cadute.
- Indossate scarpe con tacchi bassi e suole antiscivolo e controllate che in casa non ci siano cavi volanti, tappetini scivolosi o superfici che potrebbero farvi inciampare o cadere.
- Illuminate bene le stanze, posizionate opportune maniglie dentro e fuori dalla doccia e controllate di poter salire e scendere dal letto con facilità.
- Gestite il dolore. Chiedete consiglio allo specialista per quanto riguarda le terapie contro il dolore.
- Non sottovalutate il dolore cronico: se non lo curate può limitare la mobilità e diventare ancora più difficile da sopportare.
I tre fattori essenziali per mantenere le ossa sane per tutta la vita sono:
- Adeguato apporto di calcio.
- Adeguato apporto di vitamina D.
- Esercizio fisico regolare.
La quantità di calcio necessaria per stare in buona salute cambia nel corso dell’esistenza. L’Institute of Medicine (IOM) statunitense consiglia i seguenti apporti giornalieri di calcio, da ricavare dagli alimenti e solo eventualmente dagli integratori:
Il latte e i derivati sono importanti fonti di calcio, ma non sono le uniche.
Le mandorle, i broccoli, gli spinaci, i cavoli cotti, il salmone in scatola (con lisca), le sardine ed i prodotti derivati dalla soia, come il tofu, sono tutti ricchi di calcio.
Se per voi è difficile assumere abbastanza calcio con la dieta, potete pensare di ricorrere agli integratori. L’IOM consiglia di non assumere più di 2.500 mg di calcio al giorno.
Per la salute delle ossa, un adeguato apporto di vitamina D è altrettanto importante di una giusta quantità di calcio.
I ricercatori non sanno ancora con esattezza quale sia la dose giornaliera ottimale di vitamina D, ma un dosaggio giornaliero di 2.000 Unità Internazionali (UI) è sicuro per tutti, superato l’anno di età.
Molte persone sintetizzano una quantità sufficiente di vitamina D grazie alla luce del sole, però questa potrebbe non essere una buona fonte se vivete a latitudini alte, se siete costretti a stare molto in casa oppure se usate regolarmente i filtri solari o evitate completamente il sole per ridurre il rischio di tumori alla pelle.
La vitamina D è presente nel pesce grasso, ad esempio nel tonno e nelle sardine, e nel tuorlo d’uovo, però con ogni probabilità non consumate questi alimenti tutti i giorni.
Gli integratori di vitamina D o di calcio e vitamina D rappresentano una buona alternativa.
L’esercizio fisico può aiutarvi a costruire ossa più forti e a rallentare il processo che porta all’osteoporosi. L’attività fisica fa sempre bene alle ossa, indipendentemente da quando si inizia, però si ottengono i benefici maggiori se iniziate a fare attività regolarmente da giovani e continuate per tutta la vita.
È consigliabile affiancare gli esercizi per la forza a quelli per la resistenza.
Gli esercizi per la forza vi aiutano a rafforzare i muscoli e le ossa delle braccia e della parte alta della schiena, mentre quelli per la resistenza (camminare, fare jogging, correre, fare le scale, saltare la corda, sciare o praticare sport a impatto globale) coinvolgono soprattutto le ossa delle gambe, il femore e la parte bassa della schiena.
Nuotare, andare in bicicletta e allenarsi sulle macchine, ad esempio sulle ellittiche, possono rappresentare un buon allenamento cardiovascolare, ma questi esercizi sono a basso impatto, e quindi non sono efficaci per migliorare la salute delle ossa come quelli di resistenza.
Consigli per prevenire l’osteoporosi:
- Non fumate. Il fumo peggiora l’osteoporosi, forse perché fa diminuire la quantità di estrogeno prodotta dall’organismo femminile e perché diminuisce l’assorbimento del calcio a livello intestinale.
- Non esagerate con gli alcoolici. Consumare più di due bicchieri di alcoolici al giorno può impedire il rinnovamento delle ossa e può alterare la capacità dell’organismo di assorbire il calcio.
2) L’OSTEOMALACIA:
- Del metabolismo della vitamina D.
- Del calcio.
- Del fosforo.
Un tempo, la causa primaria di rachitismo ed osteomalacia andava ricercata nella carenza alimentare di vitamina D; oggi, grazie al miglioramento delle condizioni socio-economiche, le carenze dietetiche sono divenute rare (un po’ più a rischio sono i vegetariani, anche se un’adeguata esposizione solare può colmare facilmente tale deficit).
La carenza di vitamina D può essere causata da:
- Una scarsa o nulla esposizione al sole.
- Un’insufficiente attività renale od epatica (epatopatie croniche, insufficienza renale cronica).
Inoltre, essendo una vitamina liposolubile, l’assorbimento intestinale di vitamina D viene compromesso da tutte le condizioni in cui si registra steatorrea, ovvero un’eccessiva presenza di grassi nelle feci, spia di insufficiente assorbimento degli stessi (es. celiachia, insufficienza pancreatica, diverticolosi, morbo di Crohn, interventi di resezione gastrica e dell’intestino tenue).
Tra i minerali più rappresentati nell’osso, un ruolo di primo piano è ricoperto dal calcio e dal fosforo, che riunendosi nei cristalli di idrossiapatite conferiscono alle ossa la caratteristica durezza, a tutti ben nota.
L’equilibrio del minerale nell’organismo, così come quello del fosforo, dipende essenzialmente dall’attività di alcuni organi, primi fra tutti l’intestino, il rene, la pelle e le ghiandole paratiroidi.
La vitamina D, dal canto suo, aumenta l’assorbimento di questi minerali a livello intestinale e ne riduce l’escrezione urinaria.
L’osteomalacia può quindi insorgere a causa di un’alterata disponibilità di vitamina D, calcio o fosforo, anche conseguente all’assunzione prolungata di farmaci che ne alterano il metabolismo, come:
- Gli anticonvulsivanti (fenitoina, carbamazepina, fenobarbital, primidone).
- Farmaci contro l’HIV.
- Antiacidi a base di idrossido di alluminio.
Diagnosi:
Nel sangue di un paziente affetto da osteomalacia è possibile riscontrare bassi livelli di calcio e/o fosforo, associati a marker di esaltata attività osteoblastica, come l’aumento della fosfatasi alcalina e dell’osteocalcina.
Può inoltre essere utile l’esecuzione di esami specifici, come:
- Il dosaggio delle transaminasi sieriche.
- Dell’azotemia.
- Della clearance.
- Della creatinina, per valutare lo stato di salute del fegato e del rene di fronte al sospetto di malattie epatiche o renali.
In caso di sospetta celiachia o malattia da malassorbimento può essere utile il breath test al sorbitolo, o il dosaggio di specifici anticorpi ematici, mentre la diagnosi di insufficienza epatica prevede il dosaggio della tripsina, dei grassi o dell’elastasi nelle feci.
Sintomi:
Nelle fasi di esordio della malattia, in genere il paziente non lamenta alcun sintomo, mentre le indagini di laboratorio possono evidenziare il rischio di osteomalacia sin dai primi stadi.
Quando la malattia progredisce l’individuo che ne è affetto può lamentare dolori ossei e muscolari; la sintomatologia è spesso descritta come un dolore sordo alle ossa, che colpisce generalmente la parte inferiore della colonna vertebrale, il bacino, i fianchi, le gambe o le coste.
Il dolore osseo viene tipicamente esacerbato da leggere pressioni sulle ossa e dai movimenti.
Spesso, nei reperti radiografici si nota una sottile linea di frattura nelle aree dove il dolore è più intenso.
Inoltre, i dolori osteomuscolari possono accompagnarsi ad una riduzione del tono e della forza muscolare, con andatura incerta ed esitante, e scarsa resistenza alla deambulazione.
Aumenta, come anticipato, il rischio di subire micro-fratture ossee, anche spontanee, specialmente nelle aree suddette.
Cure e trattamento:
Se l’osteomalacia è insorta a causa di una ridotta esposizione solare e/o di un’insufficiente apporto alimentare di vitamina D, la correzione dei livelli plasmatici di tale vitamina tramite specifiche integrazioni alimentari rappresenta l’opzione terapeutica migliore.
In genere, le persone affette da osteomalacia assumono supplementi di vitamina D (ergocalciferolo) per un periodo variabile da qualche settimana a diversi mesi; soltanto in alcuni casi, ad esempio quando l’assorbimento della vitamina D a livello intestinale è compromesso, o per ragioni di praticità, viene somministrata per iniezione endovenosa.
La posologia e la durata del trattamento devono essere attentamente calibrate in base alle modificazioni del quadro clinico, biochimico e radiologico del paziente, ma anche in base ai farmaci assunti o a particolari condizioni concomitanti (la vitamina D ad alte dosi è ad esempio controindicata in presenza di calcoli renali, ipercalcemia, ipercalciuria, iperparatiroidismo primitivo o terapia con farmaci come digossina e diuretici tiazidici).
Periodici controlli della calcemia potranno spegnere sul nascere eventuali intossicazioni da iperdosaggio di vitamina D, segnalate da sintomi come disturbi gastro-intestinali, perdita di peso, irritabilità, febbricola, secchezza della cute con desquamazione, calcificazioni vascolari e soprattutto renali.
Accanto alla specifica integrazione di vitamina D, nel caso i livelli di fosforo e calcio nel sangue risultassero particolarmente bassi, è possibile reintegrare anche questi minerali.
Infine, nel caso l’osteomalacia fosse la conseguenza di altre malattie, come quelle a livello epatico o renale, trattare la sottostante patologia che genera il dismetabolismo della vitamina può contribuire a migliorare i segni ed i sintomi dell’osteomalacia. In questi casi, inoltre, è essenziale somministrare le forme carenti di vitamina D attiva (calcifediolo in caso di insufficienza epatica, calcitriolo in caso di insufficienza renale).
Infine, in presenza di un’insufficienza esocrina del pancreas associata ad osteomalacia è necessario intervenire con un’adeguata terapia sostitutiva a base di estratti pancreatici suini (pancreatina, creon, pancrease).
I Reumatismi extra-articolari: sono rappresentati da numerose affezioni nelle quali le manifestazioni dolorose sono molto appariscenti, mentre la quota infiammatoria è molto variabile.
Vengono fatte rientrare in questa categoria molte affezioni a carattere localizzato quali:
- Le periartriti.
- Le tendiniti.
- Le borsiti.
- Le entesiti.
- Le fibromialgie.
Sebbene a queste forme sia sempre stata prestata poca attenzione, costituiscono una larghissima parte delle affezioni dolorose comunemente etichettate come “dolori reumatici” e sono responsabili di innumerevoli episodi di disabilità transitoria e di giornate lavorative perse.
LA PERIARTRITE:
Con il termine “periartrite” si indica una patologia muscolare e articolare che colpisce, in special modo, le articolazioni della spalla: questa malattia infiammatoria degenerativa provoca dolori acuti, limitando le funzionalità delle braccia.
La periartrite è una patologia muscolare e articolare – come anticipato prima – che causa forti dolori, limitando i movimenti e le funzionalità delle braccia in quanto interessa, soprattutto, le articolazioni della spalla; sebbene possa colpire varie parti del corpo.
La periartrite interessa, in special modo, i tessuti di natura fibrosa collocati intorno alle articolazioni come:
- Tendini.
- Borse sierose.
- Tessuto connettivo.
Inoltre, tendenzialmente, questa patologia colpisce maggiormente le donne rispetto agli uomini, ma la periartrite si manifesta soprattutto tra i 40 e i 60 anni in entrambi i sessi.
I sintomi:
I sintomi della periartrite sono dolore acuto, limitazione delle funzionalità e dei movimenti delle braccia: è, ad esempio, difficoltoso e doloroso sollevare le braccia o portarle dietro.
Generalmente, il dolore aumenta durante la notte ed è impossibile dormire poggiati sulla spalla malata.
Le cause:
- Traumi o Lesioni dei muscoli o dei tendini dell’omero, ovvero l’osso del braccio che si articola alla spalla.
- Cadute.
- L’età avanzata.
- I movimenti ripetuti di sollevamento delle braccia.
- Le malformazioni naturali della spalla.
La diagnosi:
Alla comparsa dei segni, è necessario contattare lo specialista che, tramite una serie di analisi ed esami, stabilirà la diagnosi e, dunque, la corretta terapia da seguire.
L’infiammazione verrà diagnosticata, oltre che dall’esame dell’esecuzione dei movimenti articolatori, grazie all’ecografia e alla radiografia.
La cura:
- Diminuzione dei sintomi, tramite l’assunzione di farmaci antidolorifici e antinfiammatori.
- Fisioterapia.
- Ultrasuoni.
- Laserterapia.
- Onde d’urto.
Infine, nei casi più gravi, potrebbe essere necessario ricorrere all’intervento chirurgico.
LA TENDINITE:
E’ un processo infiammatorio, che viene definito anche più correttamente peritendinite perché in effetti riguarda il peritenonio.
Il peritenonio è un complesso di guaine connettive che avvolge il tendine e i suoi fasci costitutivi.
Se ad essere infiammata invece è la guaina sinoviale che riveste il tendine, allora si parla di tenosinovite o tenovaginite, che di solito si presenta contemporaneamente alla tendinite.
Le cause:
Spesso non si riesce a risalire alla causa precisa della tendinite. Ci sono dei fattori standard, quali :
- L’età: passati i 30-35 anni, i tendini diventano più vulnerabili sia perché iniziano ad essere meno tonici, sia perché anche la vascolarizzazione comincia a ridursi.
- Sforzi.
- Malattie sistemiche come: (l’artrite reumatoide, il lupus eritematoso, la sclerosi sistemica).
- Infezioni.
- Esercizi ripetuti, a cui non si è abituati o che vengono eseguiti male.
- Microtraumi che si susseguono.
Anche il metabolismo alterato va annoverato fra i nemici dei tendini, poiché dà luogo a patologie di natura dismetabolica pericolose per i fasci tendinei, come:
- La gotta.
- La sindrome di Reiter.
- Il diabete.
- L’amiloidosi.
- L’iperlipoproteinemia Tipo II.
- L’aumento marcato di colesterolo nel sangue.
- Nei giovani, soprattutto di sesso femminile, un’infezione gonococcica può portare a tenosinovite migrante acuta, con o senza sinovite localizzata.
Dove e come si manifesta:
Le parti del corpo più soggette a tendiniti sono:
- Spalle.
- Gomiti.
- Ginocchia.
- Mani.
- Piedi.
- Polsi.
- caviglie.
La manifestazione del dolore cambia a seconda di dove si sia verificata l’infiammazione:
- Bicipite: il dolore parte dalla cosiddetta cuffia dei rotatori, cioè la capsula delll’articolazione della spalla, con i rispettivi tendini.
- Gomito: l’algia si verifica a carico dell’avambraccio, localizzata nella parte esterna, e si manifesta in concomitanza con un movimento di rotazione o quando si afferra qualcosa.
- Rotula: il dolore è presente nella zona anteriore del ginocchio.
- Polso, Mani e Piedi: algìa a carico del flessore radiale e ulnare, al flessore delle dita, all’abduttore lungo e all’esterno breve del pollice, che condividono una guaina fibrosa (sindrome di Quervain).
- Tendine di Achille: la zona dove si manifesta l’algìa è subito sopra il tallone.
- Adduttori: il dolore si verifica nella zona dell’inguine, coinvolge la capsula dell’anca e i tendini associati.
Il dolore è il primo sintomo della tendinite.
In genere aumenta se si muove la parte colpita e può essere accompagnato da altri sintomi, come gonfiore e tumefazione, di varia entità.
Al contrario, se nelle guaine non si riversa liquido infiammatorio, essendo secche danno origine a una specie di frizione, captabile durante il movimento auscultando la parte con uno stetoscopio.
La lacerazione, cioè la vera e propria (rottura del tendine), che sia di primo o secondo grado, ovvero parziale, o di terzo grado, ovvero completa, è fortunatamente un evento raro.
Riguarda principalmente soggetti con più di 35 anni, con un’intensa attività fisica alle spalle, come ex atleti che abbiano sottoposti i tendini a microtraumi ripetuti; vanno incontro a lacerazione tendinea soprattutto se riprendono l’attività sportiva ad alto livello, dopo un lungo periodo di inattività.
Ma anche i non atleti sono a rischio lacerazione, se incorrono in movimenti scorretti, improvvisi e violenti.
La lacerazione si manifesta con una sensazione di schiocco a cui segue un dolore molto forte e l’inamovibilità dell’arto interessato, e si verificano tumefazione, ecchimosi e un senso di vuoto in corrispondenza della lesione.
La lacerazione del tendine, di qualsiasi entità, parziale o completa, in genere si può risolvere per via chirurgica.
LA BORSITE:
E’ una condizione dolorosa che interessa le piccole sacche (o vescichette) ripiene di liquido, chiamate “borse”, che proteggono le articolazioni e anche altre parti anatomiche.
Le borse si possono trovare tra ossa e tendini, ma anche fra diversi piani tendinei, fasciali o muscolari; in tal modo possono fungere da ammortizzatori naturali, rendendo fluido il movimento e assicurando la protezione delle diverse strutture interessate, che altrimenti andrebbero incontro a usura e traumi, scatenando infiammazione e dolore.
Le borse più esposte al rischio di infiammazione sono quelle:
- Della spalla.
- Del gomito.
- Del ginocchio
- Dell’anca.
Quando si infiamma il liquido sieroso (liquido sinoviale) all’interno delle borse, si ha una condizione patologica chiamata borsite, con sintomi dolorosi che rendono difficile o impossibile il movimento.
Le borsiti si dividono in:
- Borsiti infiammatorie: consistono in uno stato infiammatorio di questi piccoli sacchetti ripieni di liquido, causato da movimenti ripetuti, che li sottopongono a sollecitazioni e sfregamenti. Nel primo tipo di borsiti si annoverano anche le borsiti causate dal deposito di cristalli di urea (in pazienti affetti da iperuricemia) o in seguito a una infezione virale o più di frequente batterica (in tal caso si deve parlare più propriamente di borsite settica).
- Borsiti emorragiche: a seguito di trauma, si determina uno stravaso di sangue per rottura di vasi, con conseguente raccolta ematica all’interno della borsa stessa.
Le cause:
- Stress meccanici.
- Causati da movimenti ripetuti.
- Sfregamento.
- Attrito.
- Patologie sistemiche, come artrite reumatoide o gotta, che possono interferire con la composizione del liquido sinoviale.
- Infezioni batteriche o virali che possono attaccare le borse.
- Traumi, come cadute e incidenti in cui la pressione violenta esercitata sulle borse ne può provocare la rottura o l’irritazione.
- L’invecchiamento.
- Lavori o hobby usuranti, che prevedono sempre lo stesso movimento, tipico ad esempio di musicisti o artigiani, sono fattori di rischio che moltiplicano la probabilità di soffrire di borsite.
I sintomi:
- Dolore, amplificato dal movimento o dalla pressione.
- Arrossamento.
- Gonfiore.
- Presenza di lividi (ecchimosi o ematomi) che corrispondono a piccoli versamenti di sangue.
- Eruzioni cutanee.
- Febbre (in caso di infezione o importante versamento di sangue).
La prevenzione della borsite è indispensabile soprattutto per quei pazienti che ne hanno già sofferto, per evitare che il problema si presenti nuovamente:
- Evitare la pressione sui gomiti quando ci si appoggia alla scrivania.
- Usare delle imbottiture specifiche per proteggere le ginocchia e piegare le gambe quando ci si alza o si solleva un peso, specie in corso di attività lavorative ripetute e pesanti.
- Evitare sforzi eccessivi o di sollevare carichi troppo pesanti.
- Correre su superfici adeguate.
- Riscaldare sempre i muscoli prima di ogni esercizio fisico e dello sport.
- Allenare il corpo all’equilibrio e al mantenimento di una corretta postura.
- Non fare movimenti ripetuti o tenere la stessa posizione troppo a lungo.
- Cercare di evitare il sovrappeso corporeo.
Le indagini, di tipo strumentale sono:
- Radiografie, per verificare o escludere la presenza di fratture o alterazioni di altra natura a livello dell’osso.
- Ecografia, di fondamentale importanza per confermare la natura e il contenuto della borsa, così, come per valutare il coinvolgimento di altre strutture adiacenti interessate dall’infiammazione.
- Risonanza Magnetica Nucleare, nei casi in cui gli esami precedenti non siano stati in grado di chiarire il quesito diagnostico.
- Esami del sangue.
- Analisi del liquido sinoviale, per chiarire la causa della borsite, composizione del liquido e la presenza di eventuali agenti patogeni responsabili dell’infezione.
Trattamenti:
Il trattamento della borsite differisce in funzione della severità del quadro clinico e la presenza di eventuali complicazioni.
- Grado leggero è solitamente sufficiente l’uso della borsa del ghiaccio, osservare un periodo di riposo, associati a un farmaco antinfiammatorio per ridurre flogosi e dolore, così come una benda elastica compressiva per contenere il disagio provocato dai movimenti.
- Aspirazione del liquido sinoviale contenuto nella borsa infiammata.
- Infiltrazione di corticosteroidi direttamente nella borsa, in modo da spegnere la flogosi e ridurre il rischio che si formi nuovamente.
Gli antibiotici sono necessari, se l’esame clinico e gli esami del sangue indicano la presenza di un’infezione, così come anche, in taluni casi, per prevenire l’insorgenza della stessa.
In associazione al controllo dell’infiammazione e dolore con i farmaci, la terapia della borsite può prevedere anche applicazioni di terapie fisiche locali (come per esempio laserterapia).
In taluni casi più severi, specie se recidivanti o di difficile risoluzione, può essere indicata l’asportazione chirurgica della borsa infiammata.
L’ ESTESITE:
E’ un’infiammazione che colpisce la zona di inserzione del tendine sull’osso.
Spesso, questa condizione è provocata dall’usura e dal sovraccarico funzionale che si verifica nel corso di attività sportive e lavorative (entesiti degenerative).
Il processo flogistico può riscontrarsi, inoltre, in seguito a traumi e nell’ambito di patologie più complesse, come la spondilite anchilosante ed alcune forme di artriti.
All’insorgenza dell’entesite possono contribuire anche disturbi vascolari, malattie autoimmuni e disordini endocrini (come il diabete).
Sintomi e Segni più comuni:
- Dolori articolari.
- Dolori muscolari.
- Gonfiore articolare.
- Ipostenia.
- Nodulo.
- Rigidità articolare.
- Rumori articolari.
L’entesite si manifesta principalmente con dolore all’inserzione di un muscolo o di un tendine sull’osso; questa sensazione aumenta o compare effettuando un movimento che preveda l’uso dell’area giunzionale interessata e può essere evocata dalla pressione.
Se trascurata, questa condizione può indurre gonfiore delle strutture infiammate e riduzione della funzionalità del segmento scheletrico colpito.
L’entesite può evolvere in fibrosi e determinare calcificazioni in prossimità della giunzione muscolo-tendinea.
Talvolta, può verificarsi una notevole diminuzione della forza del gruppo muscolare interessato e la rottura traumatica dell’entesi; in quest’ultimo caso, compare un dolore acuto ed improvviso.
L’entesite viene definita clinicamente attraverso l’anamnesi e l’esame obiettivo del paziente, associati alla diagnostica per immagini (ecografia e risonanza magnetica della zona dolorante).
La terapia comprende:
- Riposo.
- Assunzione di farmaci antinfiammatori.
- Infiltrazioni locali di corticosteroidi.
LE FIBROMIALGIE:
E’ una sindrome muscolo-scheletrica causa di dolore ed affaticamento.
Solo negli ultimi 10-15 anni si è potuto approfondire la conoscenza di questa malattia che in Italia colpisce circa 1.5-2 milioni di persone, sopratutto di sesso femminile.
Ad essere colpiti sono sopratutto muscoli e tendini e, nonostante assomigli ad una patologia articolare, non si tratta di artrite e nemmeno causa deformità delle articolazioni.
La fibromialgia è in effetti una forma di reumatismo extra-articolare o dei tessuti molli.
La diagnosi dipende principalmente dai sintomi che il paziente riferisce.
Alcune persone possono considerare questi sintomi come immaginari o non importanti.
Negli ultimi 10 anni, tuttavia, la fibromialgia è stata meglio definita attraverso studi che hanno stabilito le linee guida per la diagnosi.
Questi studi hanno dimostrato che certi sintomi, come il dolore muscoloscheletrico diffuso, e la presenza di specifiche aree algogene alla digitopressione (tender points) sono presenti nei pazienti affetti da sindrome fibromialgica e non comunemente nelle persone sane o in pazienti affetti da altre patologie reumatiche dolorose.
I Sintomi:
- Disturbi del sonno (sonno notturno poco profondo e non ristoratore).C
- Cefalea muscolotensiva o emicranica.
- Sensazione di stanchezza (astenia).
- Rigidità mattutina (specie al collo e alle spalle).
- Colon irritabile (stipsi e/o diarrea).
- Parestesie (costituite da formicolii e sensazioni simili a punture).
- Bruciore a urinare.
- Sensazione di gonfiore alle mani.
- Dolori al torace.
- Perdita di memoria.
- Difficoltà di concentrazione.
- Disturbi della sfera affettiva (ansia e/o depressione).
Le opzioni terapeutiche per la fibromialgia comprendono:
- Farmaci che diminuiscono il dolore e migliorano la qualità del sonno.
- Programmi di esercizi di stiramento (stretching) muscolare e/o che migliorino il fitness cardiovascolare.
- Tecniche di rilassamento ed altre metodiche per ridurre la tensione muscolare.
- Programmi educativi per aiutare il paziente.
L’Approccio terapeutico multimodale del paziente fibromialgico:
- Educazione del paziente.
- Descrizione delle caratteristiche della malattia.
- Descrizione del programma terapeutico.
- Modificazioni delle abitudini di vita che potrebbero determinare e/o perpetuare la sintomatologia fibromialgica.
- Programmazione di un’attività fisica moderata ma continuativa.
- Supporto psicologico e/o psichiatrico, se necessario.
- Terapia farmacologica e/o riabilitativa di sviluppo.
I reumatismi: sono un insieme di sintomi e disturbi che interessano il sistema articolare.
Questo termine viene infatti utilizzato per descrivere un indolenzimento transitorio o la conseguenza di una malattia reumatica.
I reumatismi possono derivare da anomalie a carico dell’articolazione e delle strutture a essa connesse, come:
- Ossa.
- Tendini.
- Legamenti.
- Borse.
- Muscoli.
- Parti molli circostanti.
I reumatismi comportano prevalentemente dolore di diversa entità e ridotta capacità funzionale della parte colpita.
I dolori reumatici possono risultare da processi infiammatori (artrite) e malattie reumatiche di tipo degenerativo ad andamento cronico (artrosi).
Il disturbo si può riscontrare in presenza di :
- Spondilite anchilosante.
- Artropatia psoriasica.
- Connettiviti.
- Sindrome fibromialgica.
- Febbre reumatica.
I reumatismi possono anche essere di origine metabolica, come:
- Gotta.
- Condrocalcinosi (o pseudogotta).
- Obesità.
- Diabete.
Cause:
- Osteomieliti.
- Necrosi avascolare.
- Emartro (spontaneo, post-traumatico o secondario a coagulopatie).
- Osteonecrosi.
- Fratture.
Le patologie periarticolari che possono provocare dolori reumatici comprendono:
- Borsiti.
- Tendiniti.
- Epicondiliti.
- Fasciti.
- Tenosinoviti.
Altre malattie che possono manifestarsi con reumatismi sono:
- Polimiosite/dermatomiosite.
- Sclerosi sistemica (sclerodermia).
- Sindrome di Sjögren.
- Polimialgia reumatica.
A seconda della causa, i reumatismi possono presentarsi solo in corrispondenza alle sollecitazioni funzionali, suggerendo l’esistenza di un problema meccanico (es. artrosi, tendinite ecc.) o anche a riposo, indicando un’origine flogistica (es. malattia da cristalli e artrite settica).
Una reazione infiammatoria sottostante può comportare arrossamento, calore e gonfiore. Inoltre, vi può essere o meno accumulo di liquido all’interno dell’articolazione (versamento articolare) e la sensazione dolorosa può anche essere irradiata per la presenza di una condizione neuropatica.
L’insorgenza acuta di un reumatismo (ore o giorni) indica, in genere, un trauma, un episodio infettivo o un’artropatia da deposizione di cristalli (tra cui acido urico, pirofosfato di calcio e idrossiapatite di Ca).
Se questo sintomo persiste, invece, per più di 4-6 settimane può segnalare la presenza di una malattia cronica, come un’infezione atipica, un’osteoartrosi, un tumore o una patologia infiammatoria sistemica.
Le Malattie congenite del connettivo: sono malattie del tessuto connettivo, è una patologia che nasce da un’anomalia del sistema immunitario che agisce contro i tessuti del corpo anziché difenderli.
I tessuti connettivi sono le parti strutturali del nostro corpo che essenzialmente tengono le cellule del corpo insieme.
I tessuti connettivi sono composti da due molecole importanti di proteine strutturali:
- Collagene.
- Elastina.
Ci sono molti tipi differenti di proteine collagene in quantità che variano in ciascuno dei tessuti del corpo.
L’elastina ha la capacità di allungarsi e ritornare alla sua lunghezza originale.
L’elastina è il componente principale dei legamenti e della pelle.
Nei pazienti con malattia del tessuto connettivo è comune per collagene ed elastina essere danneggiati da un’infiammazione.
I casi di malattia del tessuto connettivo che dipendono da un’eredità genetica includono:
- Sindrome di Marfan.
- Sindrome di Ehlers-Danlos.
- L’osteogenesi imperfetta.
- Le Condrodistrofi.
- Lo pseudoxantoma elastico (PXE).
- L’Epidermolisi bollosa.
1) La sindrome di Marfan: descrive un complesso disordine ereditario a carico del tessuto connettivo, che colpisce principalmente:
- Occhi.
- Sistema cardiovascolare.
- Sistema muscolo scheletrico.
Tuttavia, considerando che ogni organo è costituito da tessuto connettivo, la sindrome di Marfan può idealmente distruggere ed interferire pesantemente con crescita e funzione di ogni sede anatomica.
La sindrome è trasmessa come carattere autosomico dominante: ci troviamo perciò di fronte ad una malattia genetica grave, avente un’espressione fenotipica estremamente variabile (i difetti possono differire enormemente da famiglia a famiglia o da paziente a paziente).
Ciò che scatena la sindrome di Marfan è l’alterazione del gene FBN1 (sul cromosoma 15), che codifica per la fibrillina-1, un’importantissima glicoproteina del connettivo che costituisce il supporto strutturale per le microfibrille.
Trattandosi di una malattia a carattere autosomico dominante, solo i figli che hanno ereditato un gene FBN-1 alterato da entrambi i genitori risultano affetti dalla sindrome di Marfan.
Ciò nonostante, in un caso su 4 la malattia è il risultato di mutazioni spontanee in pazienti che non hanno una storia familiare.
I bambini affetti da forme estremamente gravi della sindrome di Marfan hanno un’aspettativa di vita inferiore ad un anno.
Prima dell’evoluzione delle strategie chirurgiche a cuore aperto, la maggior parte dei pazienti affetti dalla sindrome di Marfan aveva un’aspettativa di vita media pari a 32 anni; grazie al costante miglioramento delle terapie mediche e farmacologiche, attualmente i malati di sindrome di Marfan vivono in media fino a 60 anni.
Segni e Sintomi:
La sindrome di Marfan può decorrere in modo completamente asintomatico.
I pazienti colpiti presentano una struttura esageratamente longilinea, essendo sproporzionatamente alti e magri.
Gli arti inferiori e superiori presentano una lunghezza molto più elevata rispetto al tronco (dolicostenomegalia).
Si parla anche di aracnodattilia per esprimere al meglio il concetto della lunghezza esagerata delle dita, tipica dei soggetti colpiti dalla sindrome di Marfan: le mani sono perciò paragonate alle zampe di un ragno.
Per quanto riguarda l’altezza, questi pazienti presentano una statura con una media al di sopra del 97° percentile.
Tra le altre caratteristiche distintive spesso presenti nei pazienti affetti dalla sindrome di Marfan, ricordiamo anche:
- Apertura delle braccia maggiore dell’altezza.
- Articolazioni lasse → esagerata mobilità articolare.
- Deformità della parete toracica.
- Dislocamento del cristallino.
- Parte superiore del corpo meno sviluppata rispetto alla zona inferiore.
- Pneumotorace spontaneo (11%).
- Scoliosi.
- Strie cutanee a livello di coscia, schiena, deltoide, pettorale.
Tra i segni più problematici associati alla sindrome di Marfan, ricordiamo:
- Il prolasso della valvola cardiaca.
- L’insufficienza della valvola mitrale: una condizione simile può facilmente favorire la dilatazione dell’anello aortico e la dissecazione aortica.
Diagnosi:
L’accertamento della sindrome di Marfan non risulta sempre così immediato, dato che non sempre l’espressione fenotipica della mutazione è evidente e di semplice individuazione.
Il ritardo diagnostico può seriamente compromettere la sopravvivenza del paziente: basti pensare ad esempio al mancato riconoscimento di un problema cardiovascolare.
I criteri diagnostici per la sindrome di Marfan sono stati stilati a livello internazionale nel 1996:
- Ecocardiogramma.
- Angiorisonanza magnetica e TC (per l’indagine dell’aorta).
- Angiografia a risonanza magnetica (MRA) con liquido di contrasto (per rendere evidenti le strutture interne dell’aorta).
- Esame con lampade a fessura (per analizzare l’eventuale lussazione del cristallino).
- Misurazione della pressione oculare (per evidenziare l’eventuale presenza del glaucoma).
- Test genetici (consigliati prima di concepire un figlio per accertare o meno la sindrome).
Terapie:
Trattandosi di una malattia genetica, non esiste alcun farmaco o trattamento in grado di invertire la patologia.
L’utilizzo di farmaci è comunque indispensabile per attenuare i sintomi ed evitare eventuali complicanze, in particolare quelle cardiache.
A tale scopo, risultano particolarmente indicati i farmaci per ridurre la pressione arteriosa, come:
- Sartani.
- ACE-inibitori.
- Betabloccanti.
Nel contesto della sindrome di Marfan, i pazienti affetti anche da scoliosi possono seguire la cura specifica, così come per i soggetti colpiti da glaucoma.
La chirurgia è pensabile per correggere l’anomala dilatazione aortica, elemento che spesso accomuna la maggior parte dei pazienti affetti dalla sindrome di Marfan.
2) Sindrome di Ehlers-Danlos (EDS): si indica un gruppo eterogeneo di malattie ereditarie rare del tessuto connettivo che hanno in comune ipermobilità articolare, estensibilità cutanea e fragilità generalizzata dei tessuti.
Le forme più comuni di EDS sono:
- Il Tipo Ipermobile ( Per la diagnosi clinica devono essere soddisfatti tutti i criteri maggiori. I criteri minori sono supportativi ma non necessari. Criteri maggiori: cute moderatamente iperestensibile, liscia e vellutata, ipermobilità articolare. Criteri minori: dislocazioni articolari ricorrenti, in genere delle grandi articolazioni (spalla, gomito, patella, anca); ritardo nello sviluppo motorio; dolore articolare cronico; propensione alla formazione di ecchimosi, disturbi funzionali dell’alvo, disfunzioni autonomiche e familiarità).
- Il Tipo Classico (Per una diagnosi clinica certa sono necessari 3 dei seguenti criteri maggiori. I criteri minori sono di supporto ma non necessari. Criteri maggiori: iperestensibilità cutanea, cicatrici atrofiche, papiracee, a carta di sigaretta, emosiderotiche (manifestazioni di fragilità cutanea), ipermobilità articolare. Criteri minori: cute liscia, vellutata, pastosa e fragile, con propensione alla formazione di ecchimosi anche per traumatismi lievi; pseudotumori molluscoidi in corrispondenza delle prominenze ossee o soggette a pressione e sferoidi sottocutanei evidenziabili alla palpazione della cute dell’avambraccio e degli stinchi; complicazioni dell’ipermobilità articolare (sublussazioni, dislocazioni ecc.), ipotonia muscolare, piede piatto, dolore, ritardo nello sviluppo motorio; ernie iatali, ombelicali e post-operatorie, prolassi; storia familiare positiva).
- Il Tipo Cifoscoliotico (La presenza di 3 criteri maggiori è altamente suggestiva della patologia. Criteri maggiori: lassità legamentosa generalizzata; grave ipotonia muscolare congenita; scoliosi congenita e progressiva; fragilità delle sclere e rottura del globo oculare. Criteri minori: fragilità tissutale con cicatrici atrofiche; propensione alla formazione di ecchimosi; habitus marfanoide; microcornea; grave osteopenia; rottura di arterie; storia familiare positiva).
- Il Tipo Vascolare ( La presenza di 2 o più criteri maggiori suggerisce la diagnosi clinica. Criteri maggiori: cute sottile, traslucida con il reticolo venoso sottostante evidente, soprattutto sul tronco e sull’addome; fragilità e rottura di arterie, intestino, utero; ecchimosi diffuse spontanee; facies caratteristica con naso sottile a becco, labbra sottili, lobo auricolare ipoplasico, guance incavate, occhi prominenti, scarsità di tessuto adiposo sottocutaneo. Criteri minori: acrogeria (invecchiamento prematuro della cute delle mani e dei piedi); ipermobilità delle piccole articolazioni (dita delle mani e dei piedi); rotture muscolari e tendinee; fistola arterovenosa del seno carotideo; piede torto congenito; vene varicose precoci; pneumo/emopneumotorace; recessione gengivale; storia familiare positiva con morte improvvisa di un parente stretto).
- Il Tipo Artrocalasico (La presenza dei 2 criteri maggiori è necessaria per la diagnosi. Criteri maggiori: lassità legamentosa generalizzata severa; dislocazione congenita bilaterale delle anche. Criteri minori: iperestensibilità cutanea; fragilità tissutale con cicatrici atrofiche; propensione alla formazione di ecchimosi; ipotonia muscolare; cifoscoliosi; moderata osteopenia; storia familiare positiva).
- Il Tipo Dermatosparassi (La presenza dei 2 criteri maggiori è necessaria per la diagnosi. Criteri maggiori: fragilità cutanea marcata; cute lassa, ridondante. Criteri minori: cute morbida, pastosa; propensione alla formazione di ecchimosi; rottura prematura delle membrane fetali; ernie ombelicali o inguinali di grandi dimensioni; familiarità positiva).
Le altre forme di EDS sono molto rare, ad oggi spesso descritte solo in poche famiglie.
Le procedure diagnostico-terapeutiche per arrivare a confermare o escludere l’EDS vengono applicate a soggetti che hanno:
- Frequenti sublussazioni/lussazioni articolari e positività ai criteri di Beighton.
- Iperelasticità cutanea associata a cicatrici diastasate e atrofiche, con elevata tendenza alla formazione di ematomi sproporzionati rispetto al trauma e/o a lento riassorbimento.
- Dissecazioni e aneurismi arteriosi, rottura di organo/viscere, rottura di utero.
- Scoliosi precoce, non malformativa ed ingravescente, associata ad ipotonia.
- Alterazioni scheletriche come pectus excavatum, valgismo delle ginocchia, piede torto congenito, pes planus/valgus.
- Sintomi sospetti, in particolare nell’adulto, possono anche essere: dolore articolare invalidante, ptosi degli organi interni, anomalie vascolari quali aneurismi e anamnesi positiva per stroke.
La categoria malattia del tessuto connettivo include:
- Lupus eritematoso sistemico.
- Artrite reumatoide.
- Sclerodermia.
- Polimiosite.
- Dermatomiosite.
Queste sono considerate classiche malattie vascolari del collagene. Ognuna di queste malattie è una presentazione ”classica” con i risultati tipici che i medici sono in grado di riconoscere durante l’esame.
Ognuno ha anche diverse anomalie tipiche nelle analisi del sangue e una varietà di anticorpi anomali che si trovano comunemente nei test del sangue. Tuttavia, ognuna di queste malattie può evolvere lentamente o rapidamente.
3) L’osteogenesi imperfetta: comprende un gruppo di malattie genetiche caratterizzate da fragilità ossea e deformazione scheletrica a diversa gravità.
Attualmente, in base alle caratteristiche radiografiche e all’analisi genetica molecolare, se ne distinguono quindici differenti tipi.
Le principali forme di osteogenesi imperfetta sono 4 (tipi I-IV):
- I tipi I e IV sono trasmessi con modalità autosomica dominante.
- I tipi II e III si trasmettono con modalità autosomica recessiva.
Le altre forme sono piuttosto rare.
Nel 95% dei casi, l’origine è riconducibile a mutazioni a carico dei geni COL1A1 e COL1A2 (codificanti rispettivamente per le catene alfa-1 e alfa-2 del collagene di tipo I).
Sintomi e Segni più comuni:
- Dolore alle ossa.
- Dolori articolari.
- Dolori della crescita.
- Dolori muscolari.
- Ecchimosi.
- Fratture ossee.
- Idrope Fetale.
- Ipercifosi.
- Iperlordosi.
- Ipermobilità articolare.
- Ipoacusia.
- Macrocefalia
- Morte fetale.
- Osteopenia.
- Petto carenato.
- Ritardo di crescita.
- Torace ad imbuto.
L’osteogenesi imperfetta si presenta con quadri clinici estremamente variabili.
In genere, questa condizione è caratterizzata da un aumento della fragilità scheletrica, una diminuzione della massa ossea ed una predisposizione alle fratture ossee multiple, anche in assenza di traumi.
In qualche caso, l’osteogenesi imperfetta è fatale durante la vita intrauterina o nel periodo perinatale (durante i primi giorni o le prime settimane di vita).
Altre volte, la malattia è associata a :
- Perdita dell’udito.
- Dentinogenesi imperfetta (caratterizzata da denti di colorito bruno-grigiastro, che tendono a rompersi facilmente).
- Sclere blu (dovute a un deficit nel tessuto connettivo che permette ai vasi sottostanti di essere visibili in trasparenza).
La sintomatologia in alcuni pazienti comprende:
- Dolore muscoloscheletrico.
- Ipermobilità articolare.
- Curvatura della colonna vertebrale (cifosi e scoliosi).
- Ritardo di accrescimento.
- Deformazioni progressive degli arti.
- Bassa statura.
- Macrocefalia con facies triangolare.
- Diminuzione della densità cranica.
- Deformità del petto.
La diagnosi è solitamente clinica, ma non esistono criteri standardizzati.
Quando la condizione non è chiara, è possibile ricorrere alle caratteristiche radiografiche ed all’analisi genetica molecolare, con ricerca delle mutazioni nei geni associati all’osteogenesi imperfetta, fino ad oggi identificate.
A seconda del caso, il trattamento può prevedere la somministrazione dell’ormone della crescita e l’uso di bifosfonati con forti proprietà di contrasto sull’assorbimento dell’osso.
La chirurgia ortopedica e la fisioterapia contribuiscono a prevenire le fratture ed a migliorare la funzione motoria.
4) La Condrodistrofia: è un disturbo nello sviluppo della matrice cartilaginea dell’osso.
La conseguenza è che lo scheletro subisce malformazioni evidenti, con gravità variabile a seconda della localizzazione del disturbo.
Condrodistrofia fetale:
Durante lo sviluppo di un bambino nel grembo materno, la maggior parte dello scheletro è costituita da un tessuto duro e flessibile, la cartilagine.
Di solito la cartilagine si trasforma in ossa attraverso un processo chiamato ossificazione.
In chi soffre di condrodistrofia il corpo fatica a convertire la cartilagine in osso, soprattutto per quanto riguarda le ossa più lunghe, quelle delle braccia e delle gambe.
La condrodistrofia fetale è un’anomalia congenita dello scheletro, spesso ereditaria, legata proprio a questo arresto della crescita della cartilagine nelle ossa lunghe.
Cause:
La condrodistrofia è spesso legata a malattie ereditarie, oppure è causata da una mutazione genetica casuale all’interno del tessuto osseo o del cervello.
Sintomi:
I sintomi della condrodistrofia sono in genere soltanto di natura fisica e la malattia non influisce minimamente sulle capacità intellettive di chi ne è affetto, né sulla durata della sua vita.
I soggetti colpiti da condrodistrofia possono presentare:
- Statura inferiore alla media (nanismo).
- Testa voluminosa.
- Arti corti e tozzi.
- Lordosi o cifosi.
- Deformità articolari e della colonna vertebrale.
- Accrescimento di tessuto pseudotumorale della cartilagine.
In alcuni casi la condrodistrofia può anche portare a morte precoce, se chi ne soffre è afflitto contemporaneamente anche da altri disturbi ricorrenti (come infezioni dell’apparato respiratorio).
Non esiste una cura specifica per combattere la condrodistrofia, ma un trattamento medico si rende necessario qualora il disturbo conducesse ad ulteriori complicazioni.
Come ad esempio:
- Idrocefalo.
- Obesità.
- Restringimento del canale spinale.
5) Lo pseudoxantoma elastico (PXE): è un raro disordine “ereditario” che interessa il tessuto connettivo e colpisce sia gli uomini che le donne.
Le fibre elastiche del tessuto connettivo, infatti, mineralizzano per deposizione di calcio ed altri minerali.
Ciò comporta rigidità e fragilità delle fibre elastiche con alterazioni:
- Nella pelle.
- Negli occhi.
- Nel sistema cardiovascolare.
- Nel sistema gastrointestinale.
Nel 2000 è stato identificato il gene responsabile della malattia: è il gene “ABCC6”.
Sintomi:
I cambiamenti nella pelle sono solitamente i primi sintomi di PXE.
Compaiono generalmente alla pubertà, ma possono manifestarsi anche nell’infanzia e consistono di papule dure e rilevate, solitamente sui lati o sulla parte posteriore del collo.
La pelle è indurita e talvolta arrossata.
Le alterazioni possono comparire anche alle ascelle, all’inguine ed alla piega del gomito sotto forma di papule rilevate e biancastre associate a lassità cutanea.
Tramite il prelievo di un piccolo frammento di cute dal collo o da un’altra area affetta, detta biopsia, il medico, mediante opportuni trattamenti del campione, riesce a diagnosticare il PXE.
I cambiamenti nell’occhio sono il primo segno importante di PXE.
Tali segni consistono in una visione distorta, generalmente ad un occhio, che può essere seguita da emorragie retiniche.
Effetti:
- Cambiamenti della pelle.
- Cambiamenti nella retina dell’occhio con perdita della visione centrale.
- Cambiamenti nel sistema cardiovascolare con calcificazione delle arterie e minor flusso di sangue agli organi periferici.
- Infarti cerebrali.
- Cambiamenti nel sistema gastrointestinale con emorragie allo stomaco o all’intestino.
6) L’Epidermolisi bollosa: non è una malattia, ma il nome generico di un gruppo di malattie in cui la cute e i tessuti di rivestimento (epiteli) delle mucose vanno incontro, spontaneamente o in seguito a traumi minimi, a scollamento e formazione di bolle.
Ci possono essere manifestazioni gravissime, che portano alla morte, come forme molto lievi.
I primi sintomi compaiano già nei primi mesi di vita.
Sono suddivise in tre classi:
- Semplici: ovvero quelle malattie in cui è coinvolta solo la cute e le bolle guariscono senza cicatrici e la complicazione principale è rappresentata dall’infezione delle lesioni.
- Giunzionali: quando le lesioni sono più profonde e le bolle sono estese e spesso interessano le mucose.
- Distrofiche: in cui le lesioni sono molto profonde e spesso sono coinvolte le mucose della lingua, degli occhi e dell’esofago.
Quest’ultima forma può portare a malformazioni dei denti e perdita dei capelli, emorragie ricorrenti, malnutrizione e anemia.
L’ epidermolisi bollosa è genetica. Alcune forme sono ereditarie.
La diagnosi di queste malattie avviene attraverso l’esame clinico e l’analisi istologica di un campione di pelle.
Oggi è possibile la diagnosi prenatale nelle gravidanze di coppie in cui sia stato identificato il difetto genetico alla base della malattia.
È una malattia rara e non ci sono ancora cure disponibili specifiche.
1) ARTRITI PRIMARIE E SPONDILO-ENTESOARTRITI
(REUMATISMI INFIAMMATORI ARTICOLARI):
1.1. Artriti croniche primarie dell’adulto.
Artrite reumatoide e forme correlate.
Artrite reumatoide.
Sindrome di Felty.
Sindrome di Caplan.
Nodulosi reumatoide.
Malattia di Still dell’adulto.
1.2. Artriti croniche primarie giovanili.
Artrite sistemica (Malattia di Still).
Poliartrite sieropositiva per il fattore reumatoide.
Poliartrite sieronegativa per il fattore reumatoide.
1.3. 1.4 Spondiloartriti – entesoartriti dell’adulto e del giovane.
Spondilite anchilosante.
Artrite psoriasica.
Spondilo-entesoartriti enteropatiche.
Artrite della colite ulcerosa.
Artrite del morbo di Crohn.
Spondilo–entesoartriti reattive.
Sindrome di Reiter.
Altre artriti reattive HLA – B27 correlate.
Sindrome SAPHO.
Spondilo-entesoartriti indifferenziate.
1.5. Artriti transitorie o ricorrenti.
Reumatismo palindromico.
Idrartro intermittente.
Sinovite transitoria dell’anca.
Sindrome RS3PE.
Febbre mediterranea familiare.
2) CONNETTIVITI E VASCULITI
(MALATTIE REUMATICHE SISTEMICHE):
2.1 Lupus eritematoso.
Lupus eritematoso sistemico.
Lupus associato a deficit congeniti del complemento.
Lupus indotto da farmaci.
Lupus discoide fisso.
Lupus cutaneo subacuto.
Lupus neonatale.
2.2. Sindromi sclerodermiche.
Sclerosi sistemica.
Sclerodermia circoscritta.
Morfea.
Sclerodermia lineare.
Fascite diffusa con o senza eosinofilia.
Sindromi sclerodermiche da agenti ambientali e chimici.
Sindrome eosinofilia – mialgia.
Scleredema.
Scleromixedema.
2.3 Miositi.
Polimiosite / dermatomiosite.
Dermatomiosite (Polimiosite) associata a neoplasia.
Miosite da corpi inclusi.
Dermatomiosite amiopatica.
Altre forme di miosite.
Miosite granulomatosa.
Miosite eosinofilica.
Miosite focale o nodulare.
Miosite ossificante.
2.4. Sindrome di Sjögren e forme correlate.
Sindrome di Sjögren primitiva.
Sindrome di Sjögren associata ad altre malattie autoimmuni.
Sindrome sicca associata ad altre malattie.
2.5. Sindromi da sovrapposizione (overlap).
Connettivite mista.
Polimiosite – Sclerodermia.
Lupus eritematoso sistemico – Sindrome di Sjögren.
Sindrome Rhupus (Artrite reumatoide – Lupus eritematoso sistemico).
Sclerolupus (Sclerosi sistemica – Lupus eritematoso sistemico).
Sclerosi sistemica – Cirrosi biliare primitiva – Sindrome di Sjögren.
Altre sindromi da sovrapposizione.
2.6. Connettiviti indifferenziate.
2.7. Vasculiti sistemiche (Primitive).
Arterie di grosso e medio calibro.
Arterite di Takayasu.
Arterite gigantocellulare di Horton.
Arterie di medio calibro.
Panarterite nodosa.
Vasi di medio e piccolo calibro.
Granulomatosi di Wegener.
Sindrome di Churg – Strauss.
Poliangioite microscopica.
Vasi di piccolo calibro.
Crioglobulinemia mista essenziale.
Angioite cutanea leucocitoclasica.
Porpora di Schönlein – Henoch.
Vasculite orticarioide.
Porpora ipergammaglobulinemica benigna.
Eritema elevatum diutinum.
Altre vasculiti.
Malattia di Behçet.
Malattia di Kawasaki.
Sindrome di Cogan.
Vasculite linfocitaria benigna.
Vasculiti overlap o non classificabili.
Vasculiti sistemiche (Secondarie).
A farmaci e tossici.
Ad agenti infettivi e vaccini.
Associate ad altre condizioni.
Artrite reumatoide.
Connettiviti.
Neoplasie.
Pseudovasculiti.
2.8. Sindrome da anticorpi antifosfolipidi.
Primitiva.
Associata ad altre malattie.
2.9. Polimialgia reumatica.
Primitiva.
Associata ad arterite gigantocellulare di Horton.
2.10. Eritema nodoso.
2.11 Panniculiti.
2.12. Policondriti.
3. ARTRITI DA AGENTI INFETTIVI:
3.1. Artriti infettive.
Artriti e spondilodisciti batteriche.
Da batteri gram – positivi.
Artrite stafilococcica.
Artrite streptococcica.
Altre
Da batteri gram – negativi.
Artrite gonococcica.
Spondilite brucellare.
Altre
Da batteri anaerobi.
Da micobatteri.
Artrite tubercolare.
Morbo di Pott.
Altre
Da spirochete.
Malattia di Lyme.
Artrite luetica.
Artriti e spondilodisciti da miceti.
Artriti virali.
Artrite rubeolica.
Artrite da parvovirus B19.
Artriti parassitarie.
3.2. Artriti reattive o post-infettive.
Da infezione orofaringea.
Reumatismo articolare acuto.
Reumatismo fibroso di Jaccoud.
Da infezione urogenitale.
Da infezione enterica.
Da altre infezioni e infestazioni.
4. ARTROPATIE DA MICROCRISTALLI E DISMETABOLICHE:
4.1. Artropatie microcristalline.
Da urato monosodico.
Gotta primaria.
Gotta acuta.
Gotta cronica.
Gotta tofacea.
Gotta da deficit enzimatici.
Gotta secondaria.
Da pirofosfato di calcio diidrato.
Condrocalcinosi sporadica.
Condrocalcinosi familiare.
Condrocalcinosi associata ad altre condizioni.
Da fosfato basico di calcio.
Da cristalli misti.
Da ossalato di calcio.
Da altri cristalli.
4.2. Artropatie in corso di malattie metaboliche.
Emocromatosi.
Morbo di Gaucher.
Morbo di Wilson.
Iperlipoproteinemia.
Alcaptonuria (Ocronosi).
5. ARTROSI (OSTEOARTROSI):
5.1. Artrosi primaria.
Artrosi generalizzata.
Artrosi erosiva delle dita.
5.2. Artrosi secondaria.
A traumatismi.
Ad anomalie di sviluppo.
A turbe biomeccaniche.
Ad alterazioni della struttura ossea.
A malattie metaboliche ed endocrine.
Congenite.
Acquisite.
A malattie ereditarie del connettivo.
A malattie ematologiche.
Ad artriti.
Artrosi endemiche.
6. AFFEZIONI DOLOROSE NON TRAUMATICHE DEL RACHIDE:
7. REUMATISMI EXTRA-ARTICOLARI:
7.1. Reumatismi extra-articolari localizzati.
Entesopatie.
Tenosinoviti.
Tendinosi e rotture tendinee.
Borsiti.
Aponeurositi, fasciti e capsuliti.
Cisti sinoviali.
7.2. Sindromi dolorose loco-regionali.
Affezioni periarticolari (“periartrite”) della spalla e dell’anca.
Sindromi miofasciali.
7.3. Reumatismi extra-articolari generalizzati.
Fibromialgia.
Polientesopatie.
Iperostosi scheletrica idiopatica diffusa (DISH) o Polientesopatia iperostosante dismetabolica.
8. SINDROMI NEUROLOGICHE, NEUROVASCOLARI E PSICHICHE:
8.1. Neuropatie da compressione.
8.2. Artropatie neurogene.
8.3. Sindromi neuroalgodistrofiche.
Primitive.
Associate ad altre condizioni.
Traumatismi (Malattia di Sudeck).
Immobilizzazione.
Barbiturici (Reumatismo gardenalico).
Altre
8.4. Sindromi dello sbocco toracico.
8.5. Fenomeno di Raynaud.
8.6. Eritromelalgia.
8.7. Reumatismi psicogeni.
9. MALATTIE DELL’OSSO:
9.1. Osteoporosi generalizzate.
Primitive.
Post-menopausale.
Senile.
Idiopatica.
Associate ad altre condizioni.
9.2. Osteoporosi regionali.
9.3. Osteomalacie.
9.4. Osteodistrofie renali.
9.5. Displasie scheletriche ed osteopatie addensanti.
9.6. Osteopatie genetiche.
9.7. Malattia ossea di Paget.
9.8. Osteonecrosi asettiche.
9.9. Osteomieliti.
9.10. Osteopatie infiltrative.
9.11. Osteopatie tossiche.
9.12. Malattie granulomatose dell’osso.
9.13. Tumori benigni e maligni dell’osso.
10. NEOPLASIE E SINDROMI CORRELATE:
10.1. Neoplasie articolari e tendinee.
Sindromi correlate a neoplasie e paraneoplastiche.
Osteoartropatia ipertrofizzante.
Poliartrite cronica.
Policondrite.
Poliartrite steatonecrotica.
Dermatopolimiositi.
Sindromi sclerodermiche.
Fascite palmare.
Vasculiti.
11. ALTRE MALATTIE CON POSSIBILI MANIFESTAZIONI REUMATOLOGICHE:
11.1. Sarcoidosi.
Amiloidosi.
Malattie dell’apparato emolinfopoietico.
Malattie da immunodeficienza congenita od acquisita.
Malattie linfoproliferative.
Mieloma.
Mielodisplasie e malattie mieloproliferative.
Malattie dell’apparato respiratorio.
Neoplasie polmonari.
Malattie endocrino-metaboliche.
Iper ed ipotiroidismo.
Iper ed ipoparatiroidismo.
Diabete.
Dislipoproteinemie.
Acromegalia.
12. MISCELLANEA:
Sindrome di Tietze