L’ortopedia: è la disciplina medica che studia l’apparato locomotore e le sue patologie.
I medici specialisti, ovvero gli ortopedici sono specializzati nella diagnosi e nel trattamento chirurgico e non, dei problemi di tutto ciò che riguarda:
- Ossa.
- Articolazioni.
- Legamenti.
- Tendini.
- Muscoli.
- Nervi.
Inoltre vi è la figura dell’ortoplastico per il trattamento dei tessuti molli.
Ciò deriva dall’esigenza scientifica di un migliore risultato per i pazienti, a seguito di un intervento ricostruttivo precoce.
La visita ortopedica: è una visita concentrata sullo stato di salute dell’apparato locomotore, cioè delle ossa, delle articolazioni e dei muscoli, sia in condizioni normali che in seguito a traumi.
In una fase iniziale la visita ortopedica prevede un’analisi completa delle condizioni cliniche del paziente.
Per questo lo specialista si informerà non solo sui suoi sintomi presenti, ma anche su disturbi con cui ha avuto a che fare in passato, sul tipo di lavoro svolto e sulle attività fisiche praticate.
La visita prosegue poi con l’analisi della struttura e delle funzionalità dell’apparato locomotore.
Lo specialista potrebbe ritenere opportuno concentrarsi su aspetti come:
- La postura.
- La forza muscolare.
- L’ampiezza dei movimenti.
- La presenza di gonfiori.
- I riflessi.
La visita si conclude con una diagnosi che può riguardare patologie (acute, croniche o degenerative) a carco:
- della colonna vertebrale,
- degli arti superiori (spalla, gomito, mano e polso),
- degli arti inferiori (anca, ginocchio, piede e caviglia).
Fra le più frequenti patologie abbiamo:
- L’artrosi.
- Problemi al menisco.
- Lesioni ai legamenti del ginocchio e della cuffia dei rotatori.
- Sindrome del tunnel carpale.
- Alluce valgo.
- Il neuroma di Morton.
- La sindrome da compressione del nervo ulnare e la fascite plantare.
Spesso l’ortopedico accompagna alla diagnosi la prescrizione di accertamenti diagnostici come radiografie, Tac, risonanze magnetiche, ma anche esami del liquido articolare.
In ambito medico, in particolare in quello ortopedico, si definiscono infiltrazioni (terapia infiltrativa) le iniezioni di farmaci (come per esempio acido ialuronico, anestetici locali, cortisonici ecc.)
In ambito ortopedico possiamo distinguere le seguenti tipologie di infiltrazione:
- infiltrazioni articolari,
- infiltrazioni periarticolari.
Nel primo caso, la soluzione viene iniettata internamente all’articolazione, mentre nel secondo, il farmaco viene iniettato in una sede adiacente all’articolazione.
Le principali indicazioni della terapia infiltrativa sono relative a patologie articolari (per esempio artrosi o artriti non infettive, condropatie ecc.) e patologie interessanti le strutture periarticolari e i tessuti molli (borsiti, capsuliti, entesopatie, fasciti, fibrositi, peritendiniti, sindromi radicolari, tendiniti, tenosinoviti ecc.).
A questi scopi, le infiltrazioni maggiormente praticate sono:
- le infiltrazioni di acido ialuronico,
- le infiltrazioni di cortisonici.
La diffusione di questa pratica medica è legata sia alla sua comprovata efficacia, sia alla velocità con cui spesso si raggiungono risultati positivi, sia alla scarsità di rischi ai quali si può andare incontro.
Le infiltrazioni di acido ialuronico: (più esattamente di sodio ialuronato) vengono soprattutto utilizzate nella cura dell’artrosi (trattamento conservativo) e delle condropatie.
Questa tipologia di infiltrazione viene usata fin dai primi anni ’70 e i vari studi effettuati nel corso del tempo hanno mostrato l’efficacia di questo tipo di trattamento, in particolar modo nell’artrosi del ginocchio (gonartrosi) e dell’anca (coxoartrosi).
La terapia intra-articolare con acido ialuronico è nata inizialmente con il mero scopo di ridurre i sintomi dolorosi legati al processo artrosico, ma, secondo molti autori, oltre alla riduzione del dolore (e al conseguente miglioramento della mobilità delle articolazioni trattate) si possono associare a questo tipo di infiltrazione altri benefici interessanti quali l’effetto antiflogistico (con diminuzione del versamento intra-articolare), l’incremento della densità delle cellule cartilaginee, la ricostruzione dello strato amorfo superficiale cartilagineo e un’efficacia clinica duratura (da un minimo di sei mesi a un massimo di un anno) una volta terminato il ciclo della terapia infiltrativa.
Non esiste uno schema terapeutico standard per la terapia infiltrativa con acido ialuronico; nella maggior parte dei casi si effettuano infiltrazioni di 20 mg di acido ialuronico con cadenza settimanale per cinque settimane; questo ciclo deve essere ripetuto almeno due volte in un anno.
Una volta effettuata l’infiltrazione, il soggetto può eventualmente eseguire esercizi a carattere terapeutico.
Di norma le infiltrazioni di acido ialuronico non hanno effetti collaterali di rilievo; tuttavia, se l’iniezione non viene eseguita correttamente si possono registrare dolore, gonfiore e rossore a livello locale.
Nel caso di infiltrazioni al ginocchio, anche se l’iniezione è stata eseguita in modo corretto, si possono avere dolenzia, gonfiore e versamento di liquido sinoviale nell’articolazione.
Prima di sottoporsi a infiltrazioni con acido ialuronico, è necessario informare il medico su eventuali allergie o sensibilizzazioni ai farmaci utilizzati e alle sostanze eccipienti contenute nella soluzione medicamentosa; questo allo scopo di evitare problemi quali reazioni allergiche, reazioni da ipersensibilità o, nei casi peggiori, shock anafilattico.
Non è possibile sottoporsi a questo tipo di terapia nel caso in cui il soggetto sia affetto da problemi infettivi di origine batterica o virale.
Sono da altresì da evitare infiltrazioni di acido ialuronico nel caso di gravidanza o allattamento.
Le infiltrazioni di cortisone: sono una pratica medica piuttosto frequente; esse vengono utilizzate per trattare numerose condizioni patologiche, fra le quali possiamo ricordare varie forme di artrite (gottosa, psoriasica e reumatoide), borsiti, tendiniti ecc.
A seconda degli effetti ricercati e ovviamente del tipo di patologie di cui soffre il soggetto, si effettua la scelta del tipo di cortisone da utilizzare per la terapia infiltrativa; nel caso di processi patologici acuti, volendo ricercare un effetto immediato, si ricorre a corticosteroidi ad azione rapida, ma dall’effetto meno duraturo; nel caso invece si debbano trattare malattie di tipo cronico, si ricorrerà a cortisonici dall’efficacia a insorgenza più lenta, ma maggiormente durevole nel tempo.
A prescindere dal cortisonico che verrà utilizzato per la terapia infiltrativa, le infiltrazioni di cortisonici prevedono sempre l’aggiunta di un farmaco ad azione anestetica.
Gli schemi terapeutici delle infiltrazioni di cortisone variano in base al tipo di patologia da trattare e a suo livello di gravità; lo schema terapeutico standard prevede un’infiltrazione di corticosteroidi con cadenza settimanale per un numero di volte che va da 3 a 5.
Com’è noto, il cortisone è una sostanza dagli spiccati effetti antinfiammatori e immunosoppressori e la sua efficacia nella riduzione del dolore e dei versamenti articolari è particolarmente elevata.
D’altro canto, un utilizzo prolungato di cortisonici può essere causa di un notevole indebolimento di legamenti, ossa e tendini.
Di norma, le infiltrazioni di cortisone sono controindicate a diabetici, ipertesi, immunodepressi, soggetti affetti da grave osteoporosi e soggetti sottoposti a terapie antitrombotiche con acenocumarolo o warfarin.
Se effettuate correttamente, le infiltrazioni di cortisone non sono gravate da particolari effetti collaterali a livello locale; in alcuni casi, tuttavia, si possono registrare infiammazione locale con dolore e arrossamento; questo tipo di problema tende però a scomparire nel giro di poche ore.
Artrosi: è una malattia cronica degenerativa e ad evoluzione progressiva delle articolazioni, ovvero è un’usura articolare che si propaga nel tempo.
Con il termine artrosi si intende una condizione patologica in cui la cartilagine articolare che ricopre le estremità delle ossa nelle articolazioni gradualmente sparisce, ciò non permette alle ossa di scorrere facilmente l’una contro l’altra quando si piega o si raddrizza un’articolazione.
Questo si traduce in dolore durante il movimento di queste articolazioni.
L’artrosi colpisce più frequentemente le donne che gli uomini.
Tale frequenza è più evidente dopo i 55 ann.
L’ insorgenza negli uomini può essere ricondotta all’attività lavorativa; nelle donne può invece dipendere da alterazioni del metabolismo osseo riconducibile a modificazioni ormonali post-menopausali.
Fattori di rischio per l’artrosi sono:
- l’obesità,
- un precedente trauma,
- una storia familiare di artrosi.
L’artrosi può colpire qualsiasi articolazione del corpo, con sintomi che vanno da lievi a invalidanti.
Il dolore in genere si sviluppa gradualmente nel tempo, e può essere più forte al mattino e alleviarsi durante la giornata con l’attività.
Mentre un’attività vigorosa può causare il divampare di un dolore improvviso e violento.
Un’articolazione artrosica può irrigidirsi e diventare gonfia, può sembrare ingrandita o deforme. Spesso si può notare una o più protuberanze sull’articolazione malata.
Il trattamento può essere non chirurgico, quando messo in pratica precocemente, può rallentare la progressione dell’artrosi, aumentare il movimento e migliorare la resistenza.
La maggior parte dei trattamenti uniscono le modifiche dello stile di vita, i farmaci e la fisioterapia, mentre si necessita l’intervento chirurgico quando i trattamenti non-chirurgici precoci non arrestano il dolore o se con il tempo perdono la loro efficacia.
La decisione di trattare chirurgicamente un’articolazione artrosica dipende:
- dall’età e dal livello di attività del paziente,
- il grado di artrosi,
- la velocità con cui l’artrosi è progredita.
Patologie del menisco: I menischi sono due strutture fibrocartilaginee interposte tra il femore e la tibia medialmente (menisco mediale) e lateralmente (menisco laterale).
La loro funzione e’ quella di garantire una perfetta congruenza tra le superfici articolari di tibia e femore.
Le lesioni meniscali possono essere fondamentalmente di due tipi:
- degenerative
- traumatiche.
Le lesioni degenerative sono quelle che dipendono dal coinvolgimento dei menischi nella patologia infiammatoria e degenerativa caratteristica dell’artrosi.
I sintomi relativi a tali lesioni sono dolore al ginocchio, tipico delle fasi iniziali dell’artrosi, gonfiore ecc..
Per una diagnosi certa e’ necessario quindi avvalersi di esami strumentali, primo fra tutti la Risonanza Magnetica Nucleare che permette di vedere molto bene le strutture meniscali e di osservarne le patologie.
La terapia di queste lesioni puo’ essere inizialmente conservativa,ma con il passare del tempo l’unica soluzione può essere l’intervento chirurgico con l’asportazione della porzione meniscale danneggiata.
L’intervento favorisce la regressione dei sintomi, anche se non risolve i problemi della patologia artrosica di base, pertanto, dopo un periodo di relativo benessere e’ probabile il ripresentarsi dei sintomi, dati sia dall’aggravarsi dell’artrosi, che dalla eventuale degenerazione di un’altra parte del menisco.
Per quanto riguarda le lesioni traumatiche sono invece causate da un movimento del ginocchio che provoca una eccessiva sollecitazione sui menischi.
La sintomatologia delle lesioni meniscali traumatiche e’ abbastanza caratteristica, la sensazione del paziente che arriva all’osservazione del medico e’ quella di aver sentito un “crack” con una fitta articolare e, da quel momento, accusa una difficoltà ad eseguire i movimenti di flesso ed estensione del ginocchio.
Clinicamente l’ortopedico evoca dolore alla palpazione sulla rima articolare (spazio tra femore e tibia), eseguendo dei movimenti rotatori sul ginocchio del paziente o di rotazione interna ed esterna.
Lesioni ai legamenti: possono interessare diverse parti del corpo, come la caviglia e la spalla e il ginocchio( più frequente).
Le lesioni si verificano quando le forze applicate ai legamenti arrivano a superare la loro resistenza, in seguito ad un trauma, che danneggia queste strutture che collegano due ossa e garantiscono la mobilità dell’articolazione.
I sintomi sono:
- gonfiore,
- ecchimosi,
- dolore.
I sintomi della lesione del legamento si distinguono in base anche alla gravità del danno subito.
Soggetti a rischio sono gli anziani per la perdita di equilibrio e le difficoltà nella deambulazione, chi pratica attività sportive, che possono risolversi in urti o in cadute accidentali.
I tempi di recupero in seguito ad una lesione del legamento sono di solito lunghi.
Per le lesioni moderate si deve aspettare circa 4 o 6 settimane; nei casi più gravi si può arrivare anche a più di 6 mesi, soprattutto quando è necessario ricorrere all’intervento chirurgico o all’artroscopia.
Dopo di questo in genere si segue una specifica riabilitazione, volta a rendere completa la flessione dell’articolazione e a rafforzare la capacità muscolare.
Ecco perché è importante eseguire degli esercizi di potenziamento, in modo che le nuove fibre di collagene possano allinearsi correttamente.
Sindrome del tunnel carpale: è una neuropatia dovuta all’infiammazione, irritazione o alla compressione del nervo mediano nel suo passaggio attraverso il canale carpale.
Può manifestarsi in corso di gravidanza, nei soggetti affetti da ipotiroidismo e nei soggetti affetti da artrite reumatoide, e più frequentemente nei soggetti che utilizzano le mani per lavori di precisione e tipicamente ripetitivi.
La sindrome si manifesta spesso nei soggetti femminili ultraquarantenni, con disturbi della sensibilità delle prime 3 dita (pollice, indice e medio) e metà del quarto dito della mano.
Tali disturbi, che si presentano prevalentemente durante la notte, possono evolvere nei casi più gravi in una progressiva e irreversibile perdita della sensibilità alle prime 3 dita e alla mano, seguita da ipo-atrofia dei muscoli della mano.
Il paziente avrà difficoltà a muovere le dita.
La valutazione clinica della sindrome avviene attraverso la raccolta dei sintomi lamentati dal paziente e attraverso manovre ortopediche.
L’ENG (elettroneurografia) è una metodica che consiste nello stimolare elettricamente il nervo e registrare con appositi elettrodi la corrispondente contrazione dei muscoli innervati dallo stesso.
Questa metodica consente di misurare la velocità di conduzione nervosa.
Quando la sindrome è cronica è preferibile il trattamento chirurgico in anestesia locale.
Ciò può avvenire attraverso due procedure diverse:
- incisione nel palmo della mano con periodo di recupero di circa 90 giorni salvo complicazioni creati dalla grossa cicatrice.
- tecnica chirurgica endoscopica, la quale crea una piccola incisione in sede carpale, che consente un recupero repentino e quindi possibilità di utilizzo della mano immediata.
La procedura endoscopica ha numerosi benefici e minor rischio di complicazioni.
Una volta eseguito l’ intervento, il dolore si estingue velocemente, mentre le parestesie possono perdurare anche per alcune settimane in quanto il nervo recupera molto lentamente.
Alluce valgo: è una delle patologie più diffuse a carico del piede.
E’ caratterizzato da una deformità del primo dito (l’alluce, appunto) che comporta una deviazione laterale della falange.
In genere, questa deformità è accompagnata da una tumefazione dolente della parte interna del piede, la cosiddetta “cipolla”, che altro non è che una forma di borsite, cioè di infiammazione da sfregamento con la calzatura.
La deformità dell’alluce valgo si associa spesso al piede piatto, in quanto la ridotta curvatura della pianta porta a sovraccaricare in modo esagerato la parte anteriore del piede, e può causare, oltre a lesioni cutanee (callosità, ulcerazioni), anche deformazioni al secondo e terzo dito, definiti “a martello” e ulteriori conseguenze come lesioni osteoarticolari all’avampiede e persino ripercussioni gravi sui ginocchi, sulle anche e sulla colonna vertebrale.
Chi maggiormente soffre di alluce valgo è la donna (dieci volte più dell’uomo), in genere di età matura o senile, e soprattutto se vi sono casi di ereditarietà.
La causa dell’alluce valgo può essere congenita con la tendenza a svilupparsi nell’età dell’accrescimento, o acquisita, come nelle forme rachitiche, infiammatorie, infettive, tropiche, traumatiche, ecc.
In quest’ultimo caso, una responsabilità notevole può essere attribuita a modelli di calzatura inadeguati alla fisiologia del piede, ad esempio scarpe con tacco alto o strette in punta.
Il sintomo principale è il dolore che è evidente anche a riposo, in seguito poi, si manifesta tumefazione e arrossamento.
Vari sono i trattamenti possibili:
- Massaggi freddi locali.
- Somministrazione di farmaci antinfiammatori.
- Infiltrazioni di corticosteroidi extrarticolari.
Vi sono inoltre misure non invasive correttive come la ginnastica e la scelta di calzature comode che possono aiutare nei casi meno gravi.
Il tutore è un apparecchio ortopedico correttivo e come tale nel tempo, progressivamente migliora l’aspetto estetico e funzionale del piede.
La deformazione in stato avanzato, soprattutto in caso di dolore acuto e continuo, può esser corretta tramite intervento chirurgico.
Esistono diverse tecniche per il trattamento dell’alluce valgo: alcune agiscono sull’osso, altre sulle parti molli e altre ancora su entrambi.
Prima dell’intervento è necessaria però una precisa valutazione clinico-radiologica del piede.
Gli obiettivi dell’intervento chirurgico sono:
- La correzione dei parametri clinici e radiologici che comprendono il corretto riallineamento dell’alluce, con il controllo della metatarsalgia centrale.
- Il miglioramento dell’angolo di valgismo.
- L’eliminazione del tessuto osseo in eccesso a livello della sporgenza della borsa (cipolla).
Il tipo di intervento più frequente è quello denominato osteotomia percutanea distale.
Questa tecnica permette la correzione della deviazione del metatarso attraverso una sezione dell’osso, eseguita praticando una piccola incisione cutanea, non più lunga di un centimetro, a livello distale del metatarso.
Si tratta di un intervento mini-invasivo. L’anestesia viene praticata a livello locoregionale e il paziente può riprendere a camminare il giorno stesso, indossando un’apposita scarpetta che dovrà portare per un mese circa.
La correzione viene mantenuta da un filo che rimane in sede per quattro settimane.
La sua rimozione è indolore.
In questo periodo sono previsti controlli settimanali di medicazione e rinnovo del bendaggio.
Un controllo radiografico dopo tre mesi dall’intervento, dovrà accertare l’avvenuta consolidazione dell’osso e il grado di correzione.
Le fascite plantare: è l’infiammazione di un tessuto posto sulla parte inferiore del piede.
Questo tessuto viene chiamato fascia plantare ovvero una striscia di tessuto molto simile a un tendine che ha inizio in corrispondenza del tallone e attraversa tutta la pianta del piede, fino ad arrivare alla base delle ossa delle dita.
La fascia plantare è coperta da un cuscinetto di grasso, per attutire l’impatto tra il piede e il suolo e ha la funzione di sostenere il piede, incurvandolo.
Se la fascia è troppo corta, l’arco è più pronunciato, mentre, se è troppo lunga, l’arco è basso e quindi si ha il cosiddetto piede piatto.
Invecchiando, la fascia plantare perde elasticità e non riesce più ad allungarsi bene.
Il cuscinetto di grasso sul tallone si assottiglia e non riesce ad assorbire gli shock che si originano quando si cammina. Gli shock eccessivi danneggiano la fascia plantare che può quindi gonfiarsi, lacerarsi o ammaccarsi.
La fascite plantare è un problema molto comune per gli atleti soprattutto per quelli che praticano la corsa, per chi ha entrambi i piedi piatti o cavi o troppo arcuati, quelli che subiscono un improvviso aumento di peso o obesità, per chi soffre di tendinite del tendine d’Achille (il tendine che collega i muscoli del polpaccio al tallone).
Il disturbo più comune è il dolore e la rigidità nella parte inferiore del tallone, a volte può bruciare e può far male tutta la parte inferiore del piede.
Il dolore di solito è più forte al mattino, quando si muovono i primi passi, dopo un po’ che si sta in piedi o seduti, quando si salgono le scale, dopo intensa attività.
La fascite plantare può colpire sia gli uomini che le donne.
Tuttavia, spesso colpisce uomini attivi in età compresa tra i 40 e i 70 anni.
È uno dei disturbi ortopedici più frequenti relativi al piede.
Il Medico di solito all’inizio può raccomandare anti-infiammatori per ridurre il dolore e l’infiammazione, esercizi di stretching al tallone ed al piede, fasciature da adoperare di notte durante il sonno per mantenere il piede in flessione plantare, riposo, indossare scarpe con un buon supporto e plantari adeguati.
Se questi trattamenti non funzionano, l’ ortopedico può raccomandare l’ utilizzo di un tutore che si presenta come uno scarpone da sci, per 3-6 settimane, plantari su misura e infiltrazioni di corticosteroidi nel tallone.
Talvolta, è necessario un intervento chirurgico. La chirurgia, consiste nel fare un taglio alla fascia plantare per detenderla.
Sindrome da compressione del nervo ulnare: è una condizione che interessa un nervo che si origina nel tratto cervicale della colonna vertebrale, che percorre il braccio e l’avambraccio, fino ad arrivare al gomito ed alla mano.
Il nervo ulnare è importantissimo per il movimento motorio della mano, e da sensibilità al dito anulare e al mignolo.
Tale nervo potrebbe risultare compresso in due particolari punti:
- Il primo punto è situato a livello del gomito (tunnel cubitale).
- Il secondo punto è situato a livello del polso (canale di Guyon).
Nella sindrome del tunnel cubitale, la compressione comporta l’insorgenza di una serie di sintomi come:
- Dolore.
- Formicolio della parte.
- Riduzione della sensibilità ed intorpidimento del mignolo e dell’anulare.
- Ipotrofia muscolare, mancanza di forza nell’esecuzione di movimenti con la mano.
La sindrome del tunnel cubitale può essere trattata con un approccio conservativo, immobilizzando quindi il gomito per qualche settimana.
Se i sintomi non dovessero diminuire, si consiglia un intervento di neurolisi chirurgica del nervo ulnare.
Per quanto concerne la compressione del nervo ulnare nel canale di Guyon, questa si registra all’altezza del polso, e può essere provocata dalla presenza di cisti o altre neoformazioni al suo interno.
Per confermare la sindrome, il medico può richiedere:
- L’ elettromiografia.
- La sonografia.
- La risonanza magnetica.
Anche in questo caso, a seconda dello stadio della malattia, si comincerà con un trattamento conservativo di immobilizzazione della parte, ma qualora non dovessero registrarsi miglioramenti, il medico consiglierà l’apertura chirurgica del canale di Guyon.
In alcuni casi tale sindrome, non è correlata a vere e proprie cause, mentre in altri casi può derivare da cause meccaniche specifiche:
- Fattori occupazionali.
- Instabilità nervo ulnare.
- Valgismo del gomito.
- Artrosi di gomito.
- Traumatismi diretti al gomito.
Il trattamento chirurgico consiste nella liberazione del nervo, tuttavia il trattamento chirurgico spesso non consentirà comunque un recupero completo della funzione del nervo.
Nonostante ciò il trattamento chirurgico è comunque utile poiché consente di evitare la progressione della compressione e quindi di evitare una paralisi completa dei muscoli di competenza del nervo ulnare.
Dopo l’intervento chirurgico si applica un bendaggio e si posiziona un tutore soprattutto nei casi in cui il nervo è stato spostato sotto i muscoli.
Il periodo di immobilizzazioni varia da pochi giorni a 2-3 settimane a seconda dell’intervento eseguito.
Successivamente si consente il recupero graduale del movimento del gomito e si esegue una rieducazione finalizzata al rinforzo del muscoli del nervo ulnare.
Neuroma di Morton: è un tipo di fibrosi perinervosa, dovuta all’aumento di volume di un nervo sensitivo interdigitale, solitamente quello passante nel terzo spazio intermetatarsale, causando la crescita di tessuto cicatriziale fibroso intorno al nervo stesso.
Tra le cause più rilevanti ricordiamo:
- Utilizzo di calzature non adeguate.
- Scompensi a livello posturale.
- Disturbi di tipo neurologico.
- Artrite reumatoide.
- Alluce valgo.
- Alluce rigido.
- Ipercarico avampodalico.
- Particolari alterazioni morfologiche del piede (come piede piatto e il piede cavo).
- Lassità dei legamenti.
- Microtraumi delle ossa del piede, leggeri, ma ripetuti.
- Allenamenti su superfici non idonee (soprattutto negli atleti praticanti il fondo).
Sintomo primario della sindrome di Morton è il dolore nevralgico; si avvertono talvolta scosse elettriche e bruciori.
Camminando il dolore è amplificato, ma esso viene avvertito anche a riposo.
Per trattare il neuroma di Morton è importante la precocità della diagnosi; se i sintomi sono presenti entro i sei mesi è possibile tentare interventi di tipo conservativo con farmaci antinfiammatori, infiltrazioni di cortisone a livello locale, terapie di tipo fisico come le onde d’urto radiali.
L’uso di plantari (Che vanno portati con costanza), è fondamentale poiché in questo modo si placa il meccanismo di compressione che causa dolore.
Se la sintomatologia dura da più di sei mesi o da anni è quasi sempre necessario un intervento chirurgico, che consiste sostanzialmente nell’asportazione del nervo interessato (neurectomia); l’asportazione non provoca problemi nel movimento delle dita, ma può perdurare invece una leggera diminuzione della sensibilità della cute nella zona interessata.
L’intervento chirurgico è abbastanza routinario ed eseguito sotto anestesia locale.
Dopo l’intervento la deambulazione è generalmente buona e tutti i disturbi spariscono di norma dopo pochi mesi.
Durante le prime tre settimane, al paziente viene fornita una particolare calzatura per camminare.
La sigla PRP definisce i fattori di crescita piastrinica, estratti dal sangue dello stesso paziente e purificati con particolare tecnica di centrifugazione vengono utilizzati con effetto “curativo” in alcune specifiche patologie dell’apparato muscolo scheletrico al fine di accelerare il naturale processo di guarigione e di favorire la rigenerazione tissutale nei tendini, muscoli e cartilagine articolare.
Le piastrine sono cellule presenti nel nostro sangue che, fisiologicamente, liberano sostanze – fattori di crescita – capaci di riparare i tessuti del corpo umano (pelle, ossa, tendini) se danneggiati.
Terapie basate sul Plasma Ricco di Piastrine sono applicate per la gestione di patologie degenerative ortopediche, come l’artrosi del ginocchio, dell’anca e della caviglia.